21/01/2024
𝗟𝗲 𝗰𝗮𝗿𝗲𝘇𝘇𝗲 𝗰𝗵𝗲 𝗻𝗼𝗻 𝗱𝗶𝗺𝗲𝗻𝘁𝗶𝗰𝗵𝗲𝗿𝗼̀ 𝗺𝗮𝗶
Mi chiamo Spuntino e sono qui a raccontarvi la mia storia.
Ognuno crede di averne una che meriti d'essere conosciuta, ma poi, a tratti, la mette da parte perché viene distratto dagli eventi che si susseguono di giorno in giorno.
Ci si torna a periodi, quando si è profondamente tristi, o esageratamente allegri, e infine arriva il momento giusto, ‘quel momento fondamentale’ per cui non c'è più alcuna ragione per procrastinare.
Ci si siede al computer, o si prende un quaderno, e si mette nero su bianco il materiale raccolto.
Io scriverò della mia avventura grazie a un'anima buona che si è presa il disturbo di tradurre i miei stati d'animo e trasformarli in parole.
Una persona speciale che mi conosce bene e che sa esattamente cosa io pensi, anche quando me ne sto accucciato in un angolo, fermo a guardare come va il mondo là fuori.
Sapete perché ho deciso di farlo ora?
Perché da un certo giorno per me, per noi, è cambiato tutto, e mai avrei pensato di reagire con tanta determinazione.
É stato come fare un salto in un burrone.
Ma mi ha reso migliore, ci ha resi migliori, in tutti i sensi, anche più uniti.
Fui prelevato da un negozio che si trovava in una zona residenziale della città in cui vivo tuttora.
Abitavo in un box largo quanto una cassetta di frutta, solo che era di cartone, e lì passavo le mie giornate, aspettando che qualcuno si accorgesse di me.
Una bella mattina, bella assai, arrivò lei, la mia padroncina, Flora.
Entrò in negozio per cercare un regalo per i suoi bambini e dopo solo due sguardi scelse me.
Alleluia!
Si avvicinò alla signora dietro al banco per conoscere il mio nome e la mia età, poi le chiese di tirarmi su perchè voleva toccarmi, guardarmi da vicino.
La signora del negozio dapprima fu categorica: - Senta, solo un minuto però. I cani non sono peluche, e se tutti li prendessero in braccio io passerei il tempo a fare provare emozioni alla gente curiosa.
Ma poi, interessata alla vendita, preferì accontentarla.
Flora, un po’ risentita, la guardò in malo modo, tuttavia, per amore della pace, e per il bene dei suoi piccoli, finse di passarci sopra, aspettando in ossequioso silenzio che le fossi consegnato tra le braccia.
Chissà cosa accadde in quei pochi minuti fra noi, fatto sta che dopo un niente mi ritrovai aggrappato a lei e con una certa premura raggiungemmo la sua auto parcheggiata dietro l'angolo.
Tirai un sospiro di sollievo, una volta poggiato sul sedile.
Non potete nemmeno immaginare quanto profondo.
Finalmente ero scappato da una vera prigione per anime in attesa, ma poi di che? Non lo sapevo nemmeno io. Da quando avevo aperto gli occhi era stato un passare da un cartone all’altro.
Nel giro di mezz'ora arrivammo nel suo appartamento, al terzo piano di un palazzo con la facciata rosa.
Oltre a noi due, in casa non c'era nessuno.
Flora poggiò la borsa sul divano e mi implorò da subito di non fare i bisognini sul tappeto.
Per essere più chiara, mi aprì la porta che dava sul balcone, facendomi capire che lì, e solo lì, avrei potuto dare sfogo ai miei istinti fisiologici.
Sopra dei fogli di un giornale stropicciato che aveva tirato via da una pila di libri e giornali vicino la televisione.
Uno spazioso perimetro che girava intorno l’appartamento, sarebbe stato il mio regno a uso WC, dove insieme a uno stendino con dei panni lavati, c'erano anche due poltroncine in vimini, un tavolino in ferro battuto, una bicicletta poggiata al muro e alcuni giocattoli sparsi qua e là.
Una casa allegra, sì, sembrava questo.
Mi domandai come mai, malgrado i giocattoli, di bambini non ce ne fossero in giro. Poi la mia curiosità fu soddisfatta nel giro di un lampo.
Trascorsero pochi minuti e suonarono alla porta.
Flora rientrò per andare ad aprire e io dietro a lei.
Vidi quattro occhi sgranati fissarmi di brutto, come se avessero scorto un fantasma.
Tutti ammutoliti. - Oddio, che ho fatto?
Di botto infine urlarono felici.
Erano due diavoletti simpatici.
Carlotta, ottenne bella e spigliata, si precipitò verso di me, ripetendo - Un cane, un cane, un cane…
E Leo, il seienne zazzera all'insù, andò verso la madre ringraziandola per la sorpresa.
Anche Betty lambaby sitter, arrivata dietro di loro sembrava contenta. Non disse una parola, ma con lo sguardo furbetto mi aveva già dato il benvenuto in famiglia.
Dopo alcuni momenti di confusione, Flora riunì tutti in salotto per spiegargli cos'era accaduto.
Raccontò per filo e per segno del nostro incontro, e poi fu molto determinata nello stabilire le regole per la nostra civile coabitazione.
Io intanto li osservavo, accucciato sotto una sedia.
Punto primo: il cane non è un giocattolo (ora parlava come la signora del negozio).
Punto secondo: ognuno di voi dovrà fare il proprio dovere, pulendo la sua cuccia e prendendosene cura (ma Leo era troppo piccolo, pensavo, mormorando fra me, mentre stavo in ascolto e prendevo appunti).
Punto terzo: quando arriverà vostro padre nascondiamoci tutti in camera per fargli una sorpresa coi fiocchi.
Punto quarto: da oggi la nostra vita sarà diversa. Non potrete più lasciarlo solo.
Punto quinto: il cane non potrà mai dormire sui vostri letti, questo è tassativo (e io proferii all'istante la mia preghiera canina, affinché Carlotta e Leo le facessero cambiare idea).
Alla fine della riunione si palesò la necessità più urgente: scegliere un nome per il sottoscritto.
Quello riportato sul libretto, affibbiatomi dall'allevamento, non andava bene.
Di fatto, Roy non piaceva a nessuno.
Tobia?
Troppo comune.
Ciuffetto? (La mia peculiarità sono due ciuffetti più chiari sopra gli occhi). Nemmeno.
Rocky? (Oddio, come pugile non mi ci vedevo proprio). No, per ca**tà!
Ercole? (Forzuto, magari!) Scontato.
Ognuno disse la sua.
All'improvviso, Leo se ne uscì con un nome.
- Spuntino. Chiamiamolo Spuntino, mamma!, urlò. - A me sembra buono come uno spuntino dolce.
Chissà come gli era venuto in mente di chiamarmi in quel modo. Un nome strambo e pure buffo.
Però mi piaceva. Speravo che me lo lasciassero.
- Siiiiii. Spuntino è bello, commentò Carlotta.
Anche Betty era d'accordo.
E Spuntino fu decretato all'unisono.
Prima che arrivasse Alberto, il marito della mia padroncina, io ero già stato ribattezzato con un nomignolo davvero originale e spiritoso.
Quando finalmente Alberto rientrò a casa, si impressionò non poco per tutto quel silenzio.
Non era abituato alla calma, e ancor meno alla tranquillità domestica.
In virtù di questo diede inizio a uno spettacolo quasi patetico.
Ripetè piu volte, con voce disperata, il nome dei figli, poi quello della moglie, e a seguire anche quello della baby sitter, come se li avesse persi in mezzo al deserto.
- Carlottaaaaaaaa, Leoooooooooooooooooo, Floraaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa. Bettiiiiiiiiiiiiiiiii, ma dove siete? Cosa è successo?
Pochi passi e spalancò la porta della camera da letto, in uno stato di prostrazione simile al panico.
E di colpo, bum, la sorpresa delle sorprese.
C'ero io davanti a quel quartetto di dispettosi nascosti e scodinzolavo per dargli il benvenuto.
Lui non sapeva se ridere o piangere, ma alla fine capì che erano, eravamo, tutti in quella stanza, e in uno stato di esaltazione giocosa continuò a urlare pure lui, per farli divertire, mentre man mano uscivano, chi da dietro l’armadio, chi dalla tenda, chi protetto dal comò.
- Hai avuto paura, eh?, gli disse Flora divertita. - Ti presento il nuovo cucciolo di casa. Si chiama Spuntino.
E intanto, mentre parlava, mi aveva preso in braccio e mi teneva stretto stretto a sé.
In quei frangenti mi sentivo il cane più importante del mondo.
Per la prima volta, da quando ero nato, avvertivo il calore di due braccia colme d'amore che non mi avrebbero mai più lasciato.
E poi trascorsi la serata tra le risatine di Leo e Carlotta, e solo sul finire fui obbligato a ritirarmi nella mia cuccia, in un angolo in cucina.
In pochi istanti mi addormentai, felice d'essermi sistemato in quella casa.
Niente è più bello del trovare un approdo sicuro.
Un posto dove sai che potrai ripararti da ogni pericolo a ve**re.
Può essere un garage, una stalla, un tugurio qualunque, una casa bella o una villa super accessoriata. Va bene tutto, purché contenga all'interno le persone che con il loro affetto non ti faranno mai sentire solo.
Io, dopo pochi giorni dal mio arrivo, presi confidenza con la mia nuova famiglia.
Carlotta all'inizio si dimostrò la più agitata.
Saltellava tutto il giorno e non amava fare i compiti.
Leo voleva sempre la mamma, e quando lei usciva per andare a lavoro, piangeva a dirotto.
Betty parlava poco e puliva, anche quando non ce n'era bisogno.
E ogni giorno si preoccupava di riempire le mie ciotole di croccantini e acqua fresca.
Alberto e Flora, invece, erano perennemente presi dai loro impegni.
Lei era impiegata in uno studio di architettura e si occupava di rendere più accoglienti le case dei clienti, e il marito era il titolare di uno studio dentistico molto rinomato in città.
Si incontravano solo per cena, mentre Carlotta e Leo pranzavano a scuola e poi ritornavano a pomeriggio inoltrato scortati da Betty.
A giorni alterni, frequentavano una scuola di musica, una piscina per futuri atleti, e anche una libreria dove venivano organizzati corsi di lettura per piccoli amanti di favole e laboratori teatrali innovativi.
Le mie giornate trascorrevano nella più solida serenità.
Avevo finalmente conquistato certezze fino ad allora agognate.
Solo a pensarci qualche settimana prima mi sarebbero sembrate arroganti pretese.
Non saprei dire cosa provassi in quei momenti, ma non desideravo niente di più di ciò che avevo, ed era anche troppo.
Di contro, provavo di tanto in tanto (sempre) un’acuta tristezza nei riguardi dei miei simili, abbandonati in ogni dove, e lasciati a morire di fame negli angoli più sperduti di paesi e città.
Flora, raccontava ai figli di come certe persone si divertissero a fare del male ai poveri animali.
Solo per il gusto di vederli soffrire.
Per tutta risposta mi prendeva in braccio e mi accarezzava come un bambino.
Non si stancava mai di coccolarmi e dedicarmi attenzioni.
Le migliori passeggiate le facevo con lei.
Di solito uscivamo la mattina presto, o la sera tardi, quando le strade erano più silenziose.
Ci allungavamo fino a un parco molto curato non lontano da casa, e lì incontravamo sempre qualcuno con cui giocare.
Avevo fatto amicizia con un bassotto, un bulldog, e c'era pure una meticcia color miele che mi piaceva da morire.
Tentai un approccio subito, ma la signorina ogni volta che lo facevo si ritraeva ostile, come se non le andassi a genio.
Peraltro, Flora conosceva bene la padroncina.
Una ragazza straniera che faceva la modella e la comparsa per il cinema, e tra una chiacchierata e l'altra io continuavo a provarci con Molly, eppure, niente.
Una sera mi aveva anche tirato un morso nell'orecchio, e io per galanteria non avevo risposto alla provocazione.
Con le cagnoline bisogna essere sempre gentili!
Alla fine me ne ero innamorato perdutamente.
Cominciai a rifiutare il cibo, e poi a voler andare al parco a ogni ora, anche se non era semplice, visto che Betty aveva il suo bel daffare tra mobili da spolverare e pavimenti da lucidare, e infine, scoraggiato, mi ero detto che ci avrei riprovato, ma solo un'ultima volta.
Solo che quando incrociai di nuovo Molly e cominciò ad abbaiare per un quarto d'ora - in preda a un attacco isterico dovuto alla mia presenza -, capii di essere poco gradito, e allora mollai la preda.
Fu il mio primo innamoramento disperato.
Da lì ho imparato ad andarci coi piedi di piombo nelle tentazioni amorose.
Grazie a Leo riuscii in pochi mesi ad essere autorizzato a salire sul suo letto.
Aveva pianto per una settimana, pur di raggiungere l’obiettivo.
Ma era stato furbissimo nell'interpretare la parte del bambino che soffriva, così l’aveva avuta vinta lui.
Convinse il padre con qualche lamento ben recitato, e io ebbi il lasciapassare definitivo.
Il mio più grande piacere lo raggiungevo quando ci mettevamo insieme sotto le coperte, e non appena avvertivo il calore del suo corpo appiccicarsi al mio pelo, saltavo giù e mi rinfrescavo sul marmo tirato a lucido dalla mia amica Betty.
Ero io a interrompergli i sogni ogni mattina per farlo andare a scuola.
Le mie leccate producevano più effetti del trillo della sveglia.
Poi passavo subito nell'altro letto.
Ma a quel punto, Carlotta era già andata in bagno.
Di pomeriggio quando i bambini tornavano a casa mi accucciavo sotto le loro scrivanie e cosi mi sentivo al sicuro, protetto dalle loro carezze, e anche rifocillato dai tanti croccantini che riuscivano a sottrarre dal contenitore in cucina, quando lo sguardo attento di Betty si distraeva un attimo.
Mentre leggevano io mi stiracchiavo sul pavimento, oppure guardavo incuriosito oltre la ringhiera del balcone.
Mi capitò dopo qualche tempo di incrociare una barboncina, coperta da un cappotto a pois. Le dissi nel nostro linguaggio che era molto elegante, anche se a me non piacevano i cani vestiti come le persone. Noi abbiamo già la nostra pelliccia. Me lei si offese un po’.
A un anno dopo dal mio arrivo in casa, accadde un evento che cambiò le regole del nostro quieto vivere.
Me lo ricordo ancora, perché due giorni prima avevamo festeggiato il compleanno di Leo. Quella sera a letto, Flora era preoccupata per una esame che le aveva prescritto il medico.
Era successo che, insaponandosi sotto la doccia, aveva avvertito qualcosa di strano a un seno.
Alberto si era preoccupato, lo sentivo dalla voce, anche se si sforzava di essere spiritoso e allegro.
Fatto sta che nelle ore a seguire nessuno di noi tre riuscì a reindere sonno.
Sentivo Flora girarsi e rigirarsi nel letto, e io che avevo messo in funzione le mie antenne, avvertivo anche l’inquietudine di Alberto, una strana agitazione triplicata dal silenzio della notte.
Mi ero accucciato sotto al lato del letto in cui dormiva lei, per farle sentire la mia presenza.
Ogni tanto mi alzavo e poggiavo le zampette sul materasso, in modo da farmi accarezzare dalle sue mani.
- Che c'è Spuntino, sei agitato stanotte?
Quanto mi sarebbe piaciuto poterle parlare, dirle che io c'ero, che su di me poteva contare.
Mi tirò su dopo pochi minuti. E a me sembrò davvero un miracolo. Non ero mai salito sul letto matrimoniale. Ma forse la situazione era davvero preoccupante.
- Che fai parli, Spuntino? mi disse.
In effetti la mia intenzione era quella.
Ci guardammo negli occhi più volte durante quelle ore difficili, e ci risvegliammo abbracciati verso le otto.
Mentre Alberto, Carlotta e Leo ancora dormivano, noi passammo in cucina.
Flora si preparò un caffè con la vecchia moka.
La casa era avvolta da un silenzio cupo.
Presi un pupazzetto di gomma, che tenevo nella cuccia, e provai a offrirglielo, per stuzzicarla e invogliarla a giocare con me.
- Scusa Spuntino, stamattina non ne ho voglia.
Tornai al mio posto e continuai a osservarla.
Dopo un po’ arrivò Alberto.
Si misero a parlare a bassa voce e poi lui disse:
- Ti accompagno io, dimmi a che ora.
- Non preoccuparti, stai tranquillo, secondo me non è niente. È solo che il mio medico si preoccupa più del dovuto.
Lei voleva che Alberto non si agitasse troppo, e invece la prima a essere angosciata era proprio lei.
- Non lo dire nemmeno per scherzo, io oggi vengo con te. Disdico gli appuntamenti e andiamo con la mia auto.
- Preferisco di no, davvero, insisteva lei con la voce che tremava.
- Sarei più agitata con te al mio fianco. Ti prego, questa è la mia decisione.
Alberto fu costretto ad accettare la sua scelta, anche se gli sembrava assurda.
Uscirono di casa mogi mogi, e mogio mi sentivo anche io.
Come ogni mattina passai in camera di Carlotta e Leo per salutarli, con la solita leccata alle mani e alle guance, e aspettando che venissero in cucina per fare colazione, li sentivo lamentarsi con Betty per i vestiti che dovevano mettersi, ma che non gli piacevano affatto.
Br**ta giornata, pensavo. Oggi non ne va bene una.
E infatti anche Betty parlava poco.
Era distratta e nervosa. E fece bruciare pure il latte sul fuoco.
Quando andarono via i bambini rimasi nella cuccia col cuore in gola.
Sentivo in modo nitido che Flora soffriva, come Alberto, ma non potevo fare niente per aiutarli, se non aspettare che rientrassero per stargli vicino.
Il primo a tornare a casa in anticipo fu Leo, tutto sudato e con i capelli in aria. Insieme a lui c’era Betty che era andata a prenderlo a scuola.
Aveva fatto a botte col suo compagno di banco, per colpa di una penna che gli era sparita dal portacolori. Era certo che fosse stato Luca a nascondergliela per fargli un dispetto. E così era finita a calci e pugni.
La maestra aveva telefonato al padre per informarlo dell'accaduto, e lui era stato obbligato a chiedere aiuto a Betty.
Carlotta, dopo essere rientrata, si era rintanata in camera, innervosita dai pianti del fratello, e nessuno dei due parlava all'altro, mentre Betty, in cucina, ripeteva ad alta voce che se avessero continuato a fare i capricci, lei avrebbe chiamato il papà.
Verso le sette, poco prima che in televisione cominciassero i cartoni animati, Flora ritornò a casa.
Salutò i bambini, Betty, e raggiunse in fretta il bagno.
Non venne nemmeno a cercarmi. Questo mi fece uno strano effetto.
Avvertii la sensazione di essere di troppo, o comunque, considerato a malapena.
Fui io ad andare incontro a lei, grattando sulla porta per farmi aprire, e quando me la ritrovai davanti, stava piangendo alla maniera di Leo quando si incapricciava per qualcosa.
Si abbassò per guardarmi negli occhi e mi diede un bacio sul muso.
Occhi negli occhi. Ancora una volta.
Il suo calore era il mio rifugio, la dolcezza suprema di cui mi nutrivo per sentirmi amato.
Ma ora era lei ad avere bisogno del mio affetto.
Questo lo sentivo.
Quando si sdraiò sul letto, con un balzo veloce le fui accanto, infilandomi tra il suo fianco e il gomito.
Si girò e mi abbracciò disperatamente, come se fossi arrivato al momento giusto.
Ora piangeva ancora più forte.
Quella notte replicammo l'insonnia al cubo.
Io, lei e Alberto.
Controllavo di continuo i suoi movimenti, nella speranza che si addormentasse per la stanchezza. Invece, la vedevo fissare il tetto, anche al buio; i suoi occhi venivano illuminati da una piccola abat jour a muro che era posta in un angolo del bagno e per sua scelta stava accesa tutta la notte.
Nel silenzio, la sua voce si alternava a quella di Alberto.
Intuivo che stavano parlando di un problema a me sconosciuto, ma sapevo che prima o poi ne sarei stato coinvolto.
Non saprei dirvi perché.
Spesso ci si dimentica che noi cani abbiamo un'anima, o chiamatela come vi pare, ma è quella capacità di andare oltre l'essenziale, e sentire al pari degli umani la sofferenza e la felicità, e di conseguenza l'abilità a provare emozioni estreme.
Rimasi in ascolto fino a quando non sprofondai in un sonno necessario, e credo che insieme a me anche Flora e Alberto si arresero al bisogno di lasciarsi andare.
L'indomani mattina, fui io a dare la sveglia a Flora.
Mi avvicinai leccandole delicatamente la mano, e lei in silenzio mi salutò con una carezza, accompagnandomi verso il balcone.
Quando capitava una giornata di pioggia, o che Alberto fosse troppo in ritardo, mi veniva concesso il benefit di fare i bisogni in balcone.
Proprio come all'inizio della nostra avventura, quando ero ancora un cucciolo.
Ma avevo superato quella fase da un pezzo, e ora alzavo la zampa sempre con una certa ansia. Mi vergognavo pure a essere costretto a sporcare il balcone. E cominciavi a fare il capriccioso, voltandomi da tutte le parti, nella speranza che non ci fosse nessuno nei paraggi, poi scappavo via subito dopo.
Una sorta di pudore inspiegabile che era arrivato con la maturità.
Già, perché dopo il primo anno di vita, ci si aspetta da noi una certa compostezza. E io ritenevo di averla conquistata già da un bel pezzo. Ne sono sicuro più che mai adesso
Flora e Alberto uscirono di casa senza che me ne accorgessi.
Ero stato distratto dalle coccole di Carlotta e Leo.
Sentii soltanto il rumore della porta che si chiudeva, ma non mi scomodai a raggiungerli, perché sapevo che non avrei trovato nessuno dei due ad aspettarmi.
Troppo nervosi per ricordarsi di me.
Uscii in balcone tentando di seguire il tragitto delle loro auto, ma ne usarono solo una, quella di Alberto.
E l’auto di Flora? mi domandai.
Perché non aveva preso la sua?
Da quel giorno sono cambiate molte cose.
L’ho scoperto ascoltando ciò che diceva Betty. Stavo sempre con le orecchie tese.
E il suo tono non è mai più tornato lo stesso.
Mai più quell’allegria che sapeva intonare, accordandola a una dolce cadenza sudamericana.
Flora cominciò a stare molto male, e io con lei.
Ogni tanto usciva e non tornava per giorni, e i bambini piangevano.
Poi arrivarono anche i nonni materni a dare una mano, e io non capivo perché lei non si riprendesse come invece speravo, malgrado le mie coccole e le leccate piene d’affetto.
Un giorno mi accorsi che le erano rimasti pochi capelli.
Era bella lo stesso.
Alberto le accarezzava il viso e le diceva di non piangere, che poi le sarebbero ricresciuti.
Sapete?
A volte mi sentivo anche stupido e andavo in confusione, per non sapere scegliere il modo più appropriato di comportarmi.
Se le stavo troppo vicino, rischiavo di darle fastidio, ma poi era lei a venirmi a cercare, puntualmente.
Mi accarezzava la testa e mi diceva “il mio Spuntino meraviglioso, che non mi lascia mai”.
E un bel giorno (brutto giorno) ci ha lasciati per sempre.
Non è vero che tutte le storie finiscono bene.
Non è vero, già.
Ma se devo trovare un lieto fine alla mia, posso dire che grazie a lei sono uscito come per magia da quel cartone.
E continuo a giocare con Carlotta e Leo, che ora sono grandi e vanno al liceo.
Alberto mi porta ancora a fare le nostre passeggiate, immersi nella quiete del parco delle ore meno affollate (quelle che preferiva anche Flora) e guardandoci negli occhi ci diciamo quanto lei ci manchi.
Ma in qualche modo c’è, la sento, e mi sembra anche di vederla, solo che non posso dirlo ad Alberto, perché mi prenderebbe per pazzo (a parte il fatto che non saprei nemmeno come dirlo).
Tuttavia, sospetto che in qualche modo ne sia consapevole.
Di tanto in tanto si volta all’improvviso verso un punto indefinito e accenna un sorriso, anche se colmo di malinconia.
Della sua tremenda mancanza parliamo in silenzio, come due vecchi amici che non hanno più bisogno di spiegarsi niente.
Questo è un cunto della notte.
Sono storie brevi, mai autobiografiche, che scrivo per voi, solo per voi, per chi mi segue su questa Pagina, e liberi di condividerli sulle vostre bacheche.
I miei (vostri) non sono pubblicati da nessun’altra parte.