18/02/2022
Una perdita umana di grande significato.
La fine di una lingua è la fine di una cultura.
È morto un “patrimonio dell’umanità vivente”. Così il Cile e l’Unesco consideravano Cristina Calderon, scomparsa all’età di 93 anni. Nessuno più parlerà in Yamana, la lingua del popolo indigeno (conosciuto anche come Yagàn) più meridionale del pianeta, per 6mila anni abitanti dell’estremo sud dell’America Latina, la Terra del Fuoco. A dare la notizia della morte è stata su Twitter una figlia, Lidia Gonzalez, vicepresidente dell’Assemblea costituente cilena che in questi giorni sta lavorando alla riforma della Costituzione che dovrebbe far definitivamente voltare pagina al Cile rispetto all’era di Augusto Pinochet. “Tutto ciò che sto facendo nel mio lavoro sarà nel tuo nome. E in esso si rifletterà anche il tuo popolo” ha scritto. “Il suo amore, i suoi insegnamenti, la sua lotta per il sud del mondo, vivranno per sempre” ha detto il presidente cileno Gabriel Boric, abbracciando idealmente gli ultimi esponenti Yamana che vivono a Villa Ukika, limite estremo della Ruta del Fin del Mundo.
Fa molta impressione vedere morire una lingua. Una lingua che, viene rimarcato dagli esperti, era ricca di dettagli e sfumature impensabili, probabilmente per la peculiarità di un popolo di mare e di montagna. Secondo il Guinness dei primati, la parola Yamana mamihlapinatapai è la più concisa e la più difficile da tradurre al mondo. Significa "uno sguardo tra due persone, ognuna delle quali si aspetta che l'altra faccia qualcosa che entrambe vogliono, ma nessuna delle due osa prendere l’iniziativa". Cristina Calderon lascia 7 figli e 14 nipoti, ma nessuno parla come lei l’idioma nativo, complicatissimo, composto da circa 32mila parole.
L'articolo completo del vicedirettore Carlo Renda sull'HuffPost