24/08/2024
di VALERIA ROSSI – E’ il grido di guerra dei seguaci della cinofilia new age, ma anche di alcune Sciuremarie lontanissime dal mondo cinofilo: di fronte a un cane ben addestrato, che lo incontrino per strada o ad una manifestazione, lo compiangono perché “sembra un robot” (o, in alternativa, “un cane da circo”) e magari sussurrano tutte tenere al loro chihuahua: “meno male che a te non è successo di finire in mani simili!” (mentre il chihuahua, da dentro la borsetta, pensa “Eh, no: sono finito in mano a te, porcaccia la miseriaccia zozza. La prossima volta nasco rottweiler, così forse mi dice meglio”).
“Ultimamente non riesco proprio a mettere certe persone con cui ho a che fare nell’ordine di idee che un cane (un dobermann, nel mio caso) AMA lavorare. Ama imparare nuovi comandi, ama obedience, difesa ecc.” mi scrive un’amica sconsolata, chiedendomi un articolo su questo tema: io la accontento, ma so già di predicare nel deserto, perché intanto queste persone non cambiano idea neanche a martellate.
La retorica dell’ammmoreee, diffusa a piene mani sia dalla cinofilia new age di cui sopra (quella buonista-gentilista-olistica-e-chi-più-ne-ha-più-ne-metta) che da gran parte del mondo animalista, prevede che il cane, per essere felice, debba essere coccolato e nulla più.
Guai a farlo lavorare (sfruttamentoooo!), guai a chiedergli delle performance sportive (è robotizzatoooo!), guai a sgridarlo o a dirgli anche un semplice “NO!” (maltrattamentoooo!).
I risultati li vediamo, ahimé, ogni santo giorno (e soprattutto li vede chi lavora con i cani): ormai non si contano più i cani schizzati, nevrotici, bombati di psicofarmaci e purtroppo, in molti casi, soppressi perché divenuti ingestibili.
E’ l’unica conseguenza possibile del coccolamento coatto, perché il cane non è etologicamente predisposto a fare il peluche: lui è un cacciatore, un atleta, una “macchina da azione” che trova la sua massima espressione nella cooperazione con l’uomo (trattandosi di animale sociale che ha vissuto il processo di domesticazione) e non nel subire vocine, gridolini e pacioccamenti.
Il collega Riccardo Totino mi diceva, tempo fa, che alcuni dei cani che conosce (lui si occupa soprattutto degli ospiti di canili) ringhiano non appena le umane cominciano a parlargli come si fa con i neonati, con le classiche vocine acute e piene di vocali (“tesoriiiiiiiino! Piccciiiiinooooo!”).
Ovviamente la reazione delle sciure non è quella di pensare “Ops, forse dovrei cambiare atteggiamento”, ma quella di prodursi in un “poveriiiiinoooo! Ma perché fai cosìììì? Hai pauuuuuuuuuuraaaa?” (al che, sulla testa del cane, appare il fumetto con la scritta “Ma ci sei o ci fai?”. Ma loro non vedono neanche quella).
In parte la responsabilità di questo dilagante modo di pensare è sicuramente degli attacchi portati da più parti all’addestramento tradizionale: fino a pochi anni fa, infatti (leggi: prima dell’avvento del business gentilista-buonista), un’esibizione di cani da lavoro veniva accolta con sentiti applausi e con una buona dose di invidia. Ciò che si sentiva ripetere più spesso a bordo campo non era “poverino, sembra un robot”, ma “accidenti, quanto vorrei che anche il mio cane fosse così bravo!”.
Oggi è sicuramente più comodo pensare: “accidenti, darei un braccio perché il mio cane fosse così bravo, ma mi co***lo pensando che per avere un cane così bravo lo si debba per forza maltrattare”.
Peccato che non sia vero niente.
La vera verità è che per avere un cane così bravo ci si deve impegnare, si deve lavorare, si deve costruire un rapporto che costa tanta fatica e anche un po’ di denaro.
E’ sicuramente più facile schivarsi tutto questo e autoconvincersi che il cane sia più felice sul divano: peccato che il cane non sia felice neanche un po’… ma intanto non può parlare, non ce lo può dire. O meglio, lui ce lo dice: a modo suo.
Ma la cinofilia new age ha la risposta pronta: “Noooo, non sei tu ad avere sbagliato: è il cane ad essere malato!”
robot2E se le malattie non ci sono, si inventano (scopiazzando da quelle, spesso altrettanto inventate, della psicologia umana: è iperattivo, ha un deficit di attenzione, manca di autocontrolli). E molto, troppo spesso si “curano” con gli psicofarmaci, sollevando così i proprietari da ogni responsabilità.
Quello che avviene, papale papale, è il seguente percorso: prima ti convinco a rovinare il tuo cane andando contro tutto ciò che sono etologia, memoria di specie e memoria di razza; poi ti vendo (a caro prezzo) qualche lezione di (vera o presunta) rieducazione; poi, se non funziona, ti dico che non sei stato tu a rovinare il tuo cane, ma che il cane è malato e ha bisogno di pillolette miracolose (a caro prezzo).
E intanto i “poveri robottini” continuano ad essere cani felici e realizzati, che non soddisfano soltanto l’ego dei loro proprietari (come si sente ripetere ad oltranza), ma soddisfano soprattutto il proprio. E che per questo non hanno MAI bisogno di ricorrere alle pillolette, chissà per quale misterioso motivo.
Potrei continuare fino a domattina, magari citando pure le mie due cagne: l’una “robottina” in addestramento e l’altra, per raggiunti limiti di età, c***a prevalentemente da divano e da coccole.
Ebbene, ci credereste che quando lavoro in casa con Samba devo chiudere la Bisturi in kennel e non farle vedere quello che facciamo, perché altrimenti lei si mette in mezzo e mi propone tutto il suo repertorio (seduto-terra-abbaia-dailazampa, e fine perché non sa fare altro), perché vuole a tutti i costi lavorare anche lei?
Ci credereste che Samba, quando stiamo per venir via dal campo in cui la “robotizzo”, cerca di tutti i modi possibili di “fare la vaga” e di non rispondere neppure al richiamo (che solitamente è quasi impeccabile), fingendo di avere altre cose importantissime da fare, pur di non tornare a casa dove la aspettano pappa, divano e pure coccole (perché i cani da lavoro “robotizzati” sono comunque anche coccolati, e non poco)?
Forse no. Se appartenete allo stuolo dei “poverinisti”, non ci credereste.
E anche se vi invitassi tutti a casa mia a vedere quel che succede, forse pensereste che i miei cani, poveriiiiiniiiii, sono stati brutalmente condizionati a fare così (un po’ come quelli che credono che i cani antidroga siano drogati).
L’unica cosa che potrei ancora dirvi, quindi, è di provare a “leggere i cani”: di guardare le loro espressioni, la luce nei loro occhi, la felicità nelle loro code.
Il problema, purtroppo, sta nel fatto che chi sa leggere davvero i cani non dice mai “poveriiiino” di fronte a una performance sportiva, utilitaristica o semplicemente addestrativa.
Quelli che lo dicono pensano con le teste di altri e prendono per buono ciò che viene loro impartito dal guru di turno, solo perché non sono in grado di ragionare in proprio.
Ma i guru esistono proprio perché di gente capace di pensare con la propria testa ce n’è sempre meno.
E ce n’è sempre meno perché ragionare è fatica: proprio come educare e addestrare un cane.
Le scorciatoie sono sempre più comode. Ed è per questo che sono sempre più affollate.