20/07/2022
Forse non tutti sanno che
PREDAZIONE IN ECCESSO
La predazione in eccesso ("surplus killing") è un comportamento che si verifica piuttosto spesso nel mondo animale e a tutti i livelli. Da diverse specie di invertebrati (insetti, aracnidi) ai vertebrati più complessi come i mammiferi, si tratta di un comportamento celebre e messo in atto per diverse ragioni.
La predazione in eccesso si verifica quando un predatore uccide apparentemente più prede del necessario, o comunque più di quante glie ne servirebbero per sostentarsi al momento. A quel punto, gran parte delle prede uccise non viene consumata e il surplus killing sembrerebbe un comportamento privo di logica. In realtà, come tutti gli eventi naturali, anche la predazione in eccesso è guidata da ragioni precise.
La ragione principale è il risparmio delle calorie e della fatica necessarie per cacciare in seguito. Quante volte ci è capitato di doverci servire a piacimento da un grande buffet? Molti finiscono per riempirsi il piatto, o magari creare vere e proprie piramidi di cibo, per poi lasciare gli avanzi e non consumare tutto. Alzi la mano chi non l'ha fatto almeno una volta. Anche nel mondo animale -a cui noi apparteniamo- funziona così. Quando le prede sono facilmente reperibili e/o cacciabili, magari in seguito a periodi di abbondanza o a particolari condizioni climatiche, un predatore è portato a uccidere più del necessario per massimizzare il profitto. Magari consumando solo le parti più nutrienti e ricche di calorie di più prede (ad esempio, un organo o un muscolo in particolare) e tralasciando le parti meno appetibili che sarebbe costretto a consumare se la preda uccisa fosse solo una. In un periodo di particolare abbondanza, il surplus killing può essere messo in atto allo scopo di conservare le carcasse, magari nascondendole o sotterrandole, per poi tornare alla "dispensa" nel momento del bisogno. Magari al sopraggiungere della cattiva stagione o di alcuni giorni di digiuno. Questo comportamento, ad esempio, si verifica al momento delle nascite o in quei momenti dell'anno in cui le prede si riuniscono e/o hanno meno possibilità di difendersi. Facile pensare ai leoni e alle iene che uccidono più del dovuto durante la stagione delle nascite delle loro prede (gazzelle, zebre, antilopi, gnu), o ai leopardi che nascondono le carcasse in eccesso o, addirittura, le issano alle biforcazioni dei rami degli alberi per renderle meno accessibili agli spazzini opportunisti. In certi casi, il predatore può anche uccidere più del dovuto e poi selezionare le prede più adatte a fornirgli un maggiore apporto di calorie (ad esempio, gli esemplari più grassi). Ecco quindi che la predazione in eccesso diventa un comportamento facilmente spiegabile dall'etologia nell'ottica di un risparmio delle energie e di un'ottimizzazione delle risorse e degli sforzi necessari per la caccia. Non dimentichiamo che, per un predatore selvatico, la caccia è un evento che costa tempo, calorie e fatica: è normale che, in caso di abbondanza, il predatore attui dei comportamenti volti al risparmio.
Il surplus killing, tuttavia, assume un'accezione anomala quando si parla di predazioni rivolte ad animali da cortile e da reddito.
Girano storie di vere e proprie stragi, con volpi, faine, donnole e tassi che entrano nei pollai o nelle conigliere per compiere qualcosa di simile a un genocidio. Lo stesso dicasi per i lupi, che possono uccidere più pecore del necessario. La mattina successiva, lo spettacolo è desolante: diverse carcasse non consumate giacciono al suolo, come se il predatore di turno avesse voluto uccidere per diletto. In realtà, ovviamente non è così: le motivazioni che portano una volpe a uccidere più galline del necessario non sono certo la crudeltà o la perfidia, ma sono anch'esse riconducibili a quelle del surplus killing in natura con una variante aggiuntiva.
Secondo recenti studi, il processo della predazione segue alcune fasi, "tappe" ben definite che partono da uno stimolo proveniente dalla preda e confluiscono nell'appagamento del predatore che ha soddisfatto il proprio istinto predatorio. L'individuazione della preda, l'agguato, l'inseguimento, l'attacco, l'uccisione. La preda fugge, si difende, talvolta contrattacca. Ne scaturisce una frenesia, un "botta e risposta" di stimoli e risposte che soddisfa il predatore fino a stancarlo e a "spegnerne" l'istinto. Gli animali di allevamento (pollame, conigli, pecore e agnelli, capre e capretti, vitelli) si trovano in una situazione anomala: ammassati nel poco spazio offerto dal recinto, indifesi, talvolta non sono nemmeno consapevoli del pericolo e non tentano neanche di fuggire. L'istinto del predatore non viene per nulla appagato da queste facili predazioni perchè non riceve "risposte naturali" dalle prede. La volpe, il lupo o la faina di turno entrano in frenesia predatoria, lo stimolo -tante prede riunite in poco spazio- consente predazioni facili e dunque suddetta frenesia cresce in modo addirittura esponenziale a causa del contesto e, di conseguenza, provoca un mancato "spegnimento" dell'istinto predatorio. I predatori continuano a uccidere senza sosta in primis perchè i forti stimoli a cui sono sottoposti perdurano nonostante le uccisioni, e le uccisioni stesse non seguono quei crismi naturali che placano l'istinto predatorio nelle situazioni naturali più ordinarie.
Ecco che il surplus killing tanto noto agli allevatori è spiegato semplicemente dalla condizione innaturale in cui gli animali da reddito si trovano, una condizione non preventivata dalla natura e dai predatori, che hanno evoluto e forgiato il loro istinto e il loro comportamento in migliaia e migliaia di anni nei confronti di prede selvatiche che devono essere individuate, inseguite e conquistate.