04/04/2020
SE QUESTA È SCIENZA
È già di un paio di giorni fa la notizia che uno studio cinese avrebbe dimostrato che i gatti (e i furetti) possano infettarsi con COVID-19.
Gli stessi scienziati dichiarano comunque questi risultati incertamente applicabili al mondo reale, quindi a maggior ragione dovrebbero essere presi con le pinze.
Vediamo quali sono i punti critici di questo studio (e chiedo scusa già in anticipo ma il tema obbliga ad essere prolissi):
1) Modalità di contagio: cani, gatti e furetti vengono inoculati con un'alta dose del virus (quindi gli viene direttamente iniettato).
Questo non ha niente a che vedere con le contingenze reali in cui potrebbero - eventualmente - venirci in contatto, e cioè stando vicino ai loro proprietari quando questi ultimi sono ammalati.
2) Ambiente di studio: cani, gatti e furetti sono stati costretti a coabitare in ambienti ristretti e artificiali, provocando senza dubbio elevatissimi livelli di stress che, come ormai dovrebbero sapere tutti, influisce in maniera significativa sul funzionamento del sistema immunitario.
Oltretutto nella realtà viene difficile immaginare un animale che, per sua libera scelta, si metterebbe in una situazione del genere, insieme ad altri individui a lui sconosciuti e di specie potenzialmente pericolose per lui.
3) Modalità di trasmissione da un individuo all'altro: é stato osservato solo in un caso in cui questo é successo e non viene specificato in che modo: gli animali si sono azzuffati? Si sono morsi? Sono stati in contatto con le deiezioni degli altri?
4) Lettura dei dati: sviluppare anticorpi non significa manifestare la malattia; in realtà non sappiamo in condizioni naturali SE e COME la prenderebbero e la manifesterebbero.
Un solo caso in tutto il mondo (gatto) sembra aver mostrato sintomi respiratori poi scomparsi spontaneamente, ma anche qui mancano informazioni essenziali sul precedente stato di salute, sulle condizioni di vita e sulle contingenze ambientali in cui si trovava.
Qualche considerazione di ordine generale:
COVID-19 era all'origine un virus simbionte di una certa popolazione di pipistrelli di una certa regione della Cina, che solo successivamente all'intervento diretto dell'uomo si é ritrovato ad incontrare, in circostanze estreme, delle altre specie, trovando poi nel pangolino un vettore e nell'uomo un possibile ospite.
Il passaggio da una specie all'altra non é scontato; idealmente può avve**re, ma é comunque un evento raro; devono proprio verificarsi le condizioni adatte.
Potenzialmente ogni volta che ci ammaliamo potremmo trasmettere il patogeno anche agli animali che ci vivono accanto (in questi casi si parlerebbe di zooantroponosi), ma nessuno ha mai pensato di mettersi una mascherina in casa quando ha l'influenza!
Questo ci porta a due conclusioni:
1) COVID-19 non é funzionalmente diverso da tutti gli altri virus (quindi, se siamo ammalati e vogliamo proteggere i nostri amici animali, le regole di buona igiene e di distanza varrebbero anche per le interazioni che abbiamo con loro);
2) Date determinate condizioni QUALUNQUE patogeno può riuscire a fare il salto di specie - e il caso in questione dovrebbe avercelo insegnato - quindi il creare ad hoc in laboratorio proprio questo tipo di condizioni non solo é pericoloso (crea un'occasione che il virus potrebbe imparare ad utilizzare), ma per niente esemplificativo di ciò che avverrebbe in maniera naturale e spontanea.
In altre parole: creando a tavolino determinate condizioni si potrebbe arrivare a provocare - e quindi dimostrare - qualsiasi cosa.
Ma questa non dovrebbe essere chiamata "scienza"; questa é una mistificazione, e dovrebbe essere smascherata, non accreditata.
In tutto il mondo si stima ci siano seicentocinquantamilioni (650'000'000!!!) gatti domestici e, ad oggi, é stato registrato un solo caso positivo al Corona virus in Cina (più un altro in Belgio, ma dubbio), mentre gli altri due casi erano cani (sempre in Cina).
Non sarebbe bastato un po' di buon senso per arrivare alle dovute conclusioni invece di sacrificare tutti questi animali?
Rapporto ISS COVID-19 n. 6/2020 - Procedura per l’esecuzione di riscontri diagnostici in pazienti deceduti con infezione da SARS-CoV-2. Versione del 23 marzo 2020. 1 allegati