Claudio Maniero - Istruttore Cinofilo

Claudio Maniero - Istruttore Cinofilo Addestramento cinofilo a domicilio in provincia di Lecco

08/04/2025

Il richiamo imperfetto: perché i cani non dovrebbero essere lasciati senza guinzaglio

Non possiamo prevenire tutte le loro paure, non possiamo controllarli se sono lontani da noi. Come gestire i nostri animali fuori di casa

Per liberare il proprio cane dal guinzaglio senza (troppa) apprensione serve quanto meno aver consolidato un gran buon richiamo. Ma sarà sufficiente? Tra buono e perfetto ce ne passa e la fallibilità di un comando salvavita come questo comporta l’esposizione a un ventaglio di rischi che sono da comprendere in tutta la loro pericolosità prima di fare scelte leggere, se non azzardate.

Se troppa sicurezza inganna
Era il primo giorno di un corso di educazione per il mio cane e l’addestratrice voleva raccogliere informazioni sul nostro binomio. Fu un incalzare di domande, fino all’ultima, che da lì in avanti avrebbe segnato il mio modo di approcciarmi alla libertà canina: «Che voto daresti al tuo richiamo?». Ricordo che, con non poco orgoglio, risposi prontamente: «Un bell’otto, direi». L’addestratrice distolse lo sguardo dal foglio su cui stava compilando la nostra scheda solo per incrociare per qualche secondo il mio e commentare: «Ok, quindi scrivo zero». Per gli anni in cui frequentai quella scuola assistetti a molti otto, anche nove, declassati ad altrettanti zero. Il copione si ripeteva ogni nuovo cliente e la professionista, inesorabile, non mancava di sottolineare questo aspetto: se un richiamo fallisce anche semplicemente il venti, fosse solo il cinque per cento delle volte, non vale niente.

Non sfida, ma responsabilità
Non a tutti piaceva quel cipiglio, anzi; eppure aveva un senso profondo: non tanto sfidare, quanto spaventare e, dunque, responsabilizzare. Il punto non era necessariamente impegnarsi per cercare di impostare un richiamo che valesse dieci – e che, vedremo, è molto difficile da ottenere sempre e comunque, a maggior ragione dai non addetti ai lavori, ma anche dai professionisti – piuttosto quello di allertare rispetto ai molti pericoli che un cane libero corre, tanto nel traffico cittadino quanto in mezzo alla natura. Un ottimo richiamo sportivo, di quelli che si allenano per essere riproposti durante le prove di obbedienza, non è un obiettivo così arduo da raggiungere. Ma lo sport è lo sport, inscenato in contesti che il cane ben presto riesce a distinguere come set di lavoro. E per quanto, per affinare la tecnica, ogni comportamento lavorato vada poi generalizzato in ambienti diversi, il risultato nella vita di tutti i giorni non sempre eguaglia quello sportivo.

«Ma in campo lo fa»
Questa discrepanza di risultati, tra l’altro, potrebbe sembrare paradossale visto che, tendenzialmente, i comandi sportivi, a differenza di quelli «sufficienti» per la vita di tutti i giorni, richiedono anche alti standard qualitativi, ovvero il cane deve eseguire il dato esercizio in una precisa maniera, secondo determinati criteri: in una gara di obbedienza, con un «Platz» (o qualsiasi altra parola) gli chiederemo di mettersi a terra a sfinge, mentre al bar ci accontenteremo di un «Terra» (ma potremo usare una qualsiasi ulteriore parola, differente dalla prima) più comodo, quello cosiddetto «scosciato». E secondo voi, quale potrebbe risultare più difficile per il cane? Ebbene sì, il secondo, tra briciole di brioche sul pavimento a cui resistere, rumore di stoviglie da sopportare e altri cani, persone, anche bambini eventualmente presenti.

Accade questo perché il centro cinofilo dove ci alleniamo, attraverso suoni, odori, situazioni, anche se volutamente disturbanti, è un forte condizionamento per il cane, che vi riconosce un contesto di esercizio. Noi stessi, uscendo da casa con un certo abbigliamento piuttosto che un altro, gli suggeriamo che ci stiamo recando al campo. Inserire delle distrazioni nel lavoro, come la presenza di altri cani, è sicuramente di aiuto per testare quanto certi comportamenti siano stati appresi, ma non basta per verificarne l’effettivo consolidamento e la perfetta generalizzazione.

Le paure fanno paura
L’ambiente urbano (ma anche quello naturale) in cui poi il nostro amico viene catapultato per il resto delle uscite giornaliere è ben altra cosa: da un lato, vi mancano i condizionamenti affinché il cane capisca che lì, come al centro cinofilo, potrebbe dover rispondere prontamente alle nostre richieste; dall’altro, si aggiungono una serie di disturbi extra, molto più impattanti di qualsiasi distrazione artificiale creata durante la sessione di lavoro. A peggiorare la situazione c’è il fatto che, mentre al campo possiamo tendenzialmente pilotare tali elementi di disturbo, in contesti cittadini e naturali suoni, odori e qualsiasi altro stimolo si presentano più spesso senza preavviso tanto per il cane quanto per il conduttore. Ricordiamoci che noi non conosciamo tutte le paure dei nostri cani, dunque ci riesce impossibile anticiparle sempre e, pertanto, evitarle: il cane generalizza ampiamente le esperienze emotive negative, così tanto che la generalizzazione della paura si manifesta in riferimento a stimoli anche molto lontani dalla causa originale, tanto da renderci incapaci di fare previsioni. Con un cane che sappiamo avere paura dei tuoni, in assenza di temporali all’orizzonte potremmo sentirci liberi di slegarlo, ma cosa farebbe se, improvvisamente, sentisse uno sparo?

(Quasi) impossibile competere
La paura, insomma, è tra le principali cause di mancata risposta al richiamo. Ma ci sono altri stimoli più forti del cane, della sua capacità di concentrazione e della vostra bravura nell’addestrarlo: pensiamo solo al potenziale disturbante a livello emotivo che su un cane possono avere altre persone o suoi conspecifici o animali di altre specie, magari percepiti come prede, sia che ci voglia interagire positivamente che negativamente. Difficile calamitare l’attenzione del proprio amico in presenza di tali forti stimoli, con i quali risulta arduo competere, come altrettanto complesso, per i non addetti ai lavori, è leggere correttamente e a pieno le sue emozioni, tanto più se in contesti concitati come un incontro tra soggetti liberi: anche per questo dovreste evitare le interazioni con i conspecifici se non siete sicuri delle intenzioni degli interlocutori o se non c’è la supervisione di un esperto.
Insomma, è tendenzialmente sconsigliato liberare un cane in presenza di altri cani e se vi dicono che, piuttosto che nascano delle incomprensioni, è meglio lasciarli tutti liberi, perché così comunicano più efficacemente, rispondete che, in mancanza di certezze, è preferibile non si parlino proprio. Non sta scritto da nessuna parte che un cane debba interagire per forza con un altro cane, se questo dovesse avvenire a scapito della rispettiva incolumità.

Liberi di scegliere
Altrettanto imprevedibile potrebbe essere l’esito dell’incontro tra un cane libero e una persona a cui, anche solo involontariamente, l’animale potrebbe arrecare un danno. Per non parlare di come potrebbe concludersi una scorribanda in ambiente naturale, magari all’inseguimento di un selvatico o un animale al pascolo che, spaventato, scappando potrebbe mettere a repentaglio la propria vita, ma anche quella del cane che lo vuole predare. I collari con localizzatori gps potrebbero aiutare a ritrovare un soggetto che si sia allontanato, ma a volte perdono il segnale e, in ogni caso, la durata della batteria non è illimitata: nel frattempo, in ogni caso, non si possono controllare le azioni del cane.

I pericoli cittadini non sono meno temibili e non si limitano alle insidie del traffico: la mancanza di un guinzaglio, che in contesti urbani sarebbe, invece, obbligatorio per legge, limiterebbe il controllo e la supervisione del cane, incrementando, fra gli altri, anche il rischio di ingestione di veleni destinati a qualche tipo di lotta biologica o, addirittura, usati come esca proprio nei confronti dei nostri amici. Avere il cane che procede lontano da noi impedisce, tra l’altro, di monitorare se lungo il suo percorso possano esserci ulteriori minacce per la sua incolumità, come le processionarie, pelosi bruchi velenosi, o i forasacchi, terribili spighe acuminate.

Se il guinzaglio – obbligatorio – per le uscite urbane dovrebbe avere per legge una lunghezza non superiore al metro e mezzo, dove l’ambiente lo consente ma persistono i rischi sopra menzionati, si può usare una lunghina, ovvero una lunga corda pensata ad hoc. Bisognerà impratichirsi nelle fasi di rilascio e riavvolgimento ma, iniziando per gradi prima con un paio di metri, si potrà in seguito arrivare anche a una decina, che offrirebbero un bel raggio d’azione al cane, per un buon compromesso tra libertà e sicurezza. Più di qualcuno non sarà d’accordo, ma può sempre contare sul proprio richiamo. E voi, che voto dareste al vostro?

di Valentina Romanello

Fonte: https://www.corriere.it/animali/cani/25_aprile_05/il-richiamo-imperfetto-perche-i-cani-non-dovrebbero-essere-lasciati-senza-guinzaglio-b1aad41a-8af5-4301-b905-5b7e08693xlk.shtml

24/11/2024

EDIT: Non sono opinioni, considerazioni, riflessioni, sono scienze cognitive: https://it.wikipedia.org/wiki/Scienze_cognitive
Chi non sa neanche che esistono le scienze cognitive e trova tutto divertente e "animalista" pensando che se lui non sa dell'esitenza di una branca della scienza questa non esista, e non è sfiorato dal dubbio di essere lui ad essere ignorante invece, non ne esce molto bene, diciamo così.
Consiglio la lettura del libro di Frans De Waal linkato nei commenti.
Anche di Vallortigara: https://www.facebook.com/photo/?fbid=2026702520757951&set=a.933328696762011 - e di altri suoi saggi.
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Ripassino utile.

I cani sono più intelligenti dei gatti. I maiali sono più intelligenti dei cani. I cetacei sono più intelligenti degli uomini.
Una definizione molto rudimentale di intelligenza è “la capacità di elaborare le informazioni provenienti dall’ambiente circostante e di trovare soluzioni a problemi dati da condizioni nuove ed impreviste che lo stesso presenta”.
Ma è abbastanza scarsa; a tutt’oggi, sappiatelo, non esiste una definizione univoca dell’intelligenza; quindi le frasi in apertura non hanno senso.

Non esiste infatti *una* intelligenza, ne esistono molte, relative all’ambiente in cui devono essere attive.

Per capirci, se si giudicasse l’agilità di un gruppo di animali in base alla loro capacità di arrampicarsi su di un albero, il pesce ne uscirebbe disastrato e la scimmia vincente. Ma se si giudicasse in base alla capacità di nuotare tra gli scogli con il mare mosso, succederebbe il contrario.
La stessa cosa vale per l’intelligenza. Non possiamo applicare i nostri parametri universalmente e giudicare stupido chiunque non ci rientri secondo la nostra scala.

Per giunta, è da tenere ben presente che un ruolo non piccolo lo gioca la capacità di manipolazione: senza le mani non saremmo andati molto lontano, e con ogni probabilità, se i cetacei fossero dotati di capacità di manipolazione, ne vedremmo delle belle. Ma a loro le mani non servivano, in mare, ai nostri antenati arboricoli sì. Secondo alcuni non abbiamo affatto imparato ad usare le mani perché intelligenti, è stato perché avevamo le mani, che la selezione naturale ha favorito chi sapeva usarle meglio a mezzo del cervello. No mani = no cervello.

Quindi è molto meglio parlare di capacità cognitive, date a loro volta da un mix di facoltà: la capacità di comunicare (linguaggio), l’autocoscienza, il problem solving, la metacognizione, la capacità di astrazione eccetera.
Noi siamo comunque in testa a tutti, in media (non in tutto, in alcune cose ci battono degli uccelli, in altre i cetacei ed in altre ancora i cugini primati) ed in complesso il nostro adattamento vincente ha raggiunto altezze tali da lasciare tutti gli altri parecchio indietro.
Ma cerchiamo di parlare di capacità cognitive, non di intelligenza: “intelligente” non significa nulla, specialmente in senso assoluto e non relativo a noi

Indirizzo

Via Vicolo Stretto 5
Abbadia Lariana

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