02/10/2024
Giorgio Vallortigara, neuroscienziato che si dedica da una vita allo studio delle menti animali, ha di recente postato sui suoi profili social questo estratto dal suo libro “La mente che scodinzola”: “Se le capacità dei cani non sono presenti nei lupi e se non dipendono dal fatto di vivere con l’uomo, allora rimane una sola altra ipotesi: l’intelligenza sociale dei cani è il risultato del processo di domesticazione. I cani domestici sono probabilmente derivati dai lupi grigi più di 15.000 anni orsono. In che modo potrebbe essersi modificata la loro intelligenza? La risposta può ve**re da uno straordinario esperimento iniziato nel 1959 in Siberia, a Novosibirsk, la città della scienza dell’Unione Sovietica. Il genetista Dmitry Belyaev e, successivamente, la sua allieva Lyudmilla Trut hanno selezionato artificialmente delle volpi sulla base della loro relativa docilità. La procedura, semplicissima, prevedeva che solo le volpi che non mostrassero risposte aggressive e di evitamento all’avvicinarsi di un essere umano potessero accoppiarsi tra di loro. Dopo dodici generazioni soltanto, queste volpi hanno iniziato a mostrare variazioni sia nella morfologia (con uno scheletro di dimensioni più ridotte, le orecchie abbassate, la presenza di variazioni di pigmentazione, a macchie, nel pelo, l’accentuazione della curva della coda), sia nel comportamento (con presenza di un generale atteggiamento di docilità nei confronti degli esseri umani, simile a quello dei cani, scodinzolio e abbaio festoso). Sottoposte al test dei contenitori, queste volpi, a differenza dei loro conspecifici non addomesticati e dei lupi, rispondono facilmente ai segnali sociali emessi dagli esseri umani, come il pointing o la direzione dello sguardo.”.
Fare questa premessa risulta doveroso oggi più che mai, dato che sempre più spesso emerge la necessità di comprendere il cane non solo con lo strumento (inefficace), da un lato, del facile buonismo, ma degli strumenti che la scienza e il lavoro sul campo messi insieme ci offrono.
Allo stesso tempo il recupero comportamentale oggi, per come è cambiato e sta cambiando il cane nella relazione con l’uomo (vedi esperimento sopra), non può più essere considerato il solo protagonista dei problemi che derivano ogni qualvolta c’è un incidente più o meno grave che lo vede sulla scena. E sollevare polemiche sterili sulle piattaforme o sui quotidiani nazionali più che orientare ancora una volta l’opinione pubblica a dividersi tra “è come lo cresci” o “quella razza è pericolosa” non aggiunge davvero nulla.
Nella relazione con il cane gli attori sono due, il cane e il proprietario, sia che le cose vadano bene sia che vadano male, anche molto male. Dunque, se, come nel caso che sto seguendo da un mese (lezioni effettive 3) ben 5 educatori non hanno funzionato è perché forse nei casi precedenti l’approccio era sempre “cino-centrico” ovvero il cane era visto come la fonte del problema nella relazione e mai la fine di una serie concatenata di eventi dove anche il proprietario aveva un ruolo attivo nel generare la reazione del cane. Come nella medicina occidentale si tende a osservare il sintomo e curare quello, così nel recupero comportamentale del cane abbiamo la tendenza a studiare molto la reazione del cane e tamponare o ridurre i suoi comportamenti ma senza “disturbare” troppo la componente umana. Questo, a mio avviso, non si può fare: correggere il cane ponendoci poco in discussione risolverà alcuni cani, ma non quelli che usano questo canale per comunicare con noi, seppur certo in maniera errata. Dobbiamo dunque metterci molto di più in gioco in maniera emotiva e mentale, come in qualunque altra relazione se vogliamo ottenere risultati più duraturi e dei cambiamenti davvero significativi nel comportamento del nostro cane.
p.s. il cane in foto era terrorizzato (fra le altre cose) dai giochi al punto da mostrare forte ostilità verso di me o i proprietari se posti in ambiente chiuso o fuga se posto in ambiente aperto. Nella stessa lezione questa è stata la sua reazione.