31/01/2024
Leggere attentamente il post pubblicato dalla confederazione italiana la stessa confederazione che mi aveva scelto per rappresentarla al tavolo della consulta del.pastoralismo e degli alpeggi in Regione, va però anche aggiunto che in ogni bando di questo comune non solo non sono state rispettate ed applicate le linee guida imposte da Regione Lombardia anzi non contenti hanno anche omesso e negato un diritto imprescrittibie ed inalienabile alle aziende locali per anni,il diritto di uso civico definito dei pascoli, proprieta del cittadino, su ben 539 ettari di pascolo nel territorio comunale ,buona riflessione!!!
OPERAZIONE “MONTAGNE D’EURO”: ARRIVANO LE PRIME CONDANNE AL RISARCIRE IL FIUME DI DENARO DELLA PAC
Ha suscitato scalpore nel mondo agricolo lariano la notizia dei due agricoltori del mantovano e della bergamasca condannati a risarcire diverse centinaia di migliaia di euro per il presunto dolo nelle domande di aiuto PAC presentate su estese superfici a pascolo nel territorio dell’Alto Lario. La cronaca riferisce poi di messe in mora per i restanti indagati (88 in tutto) per oltre 4 milioni di euro di premi indebitamente percepiti.
La vicenda, lo ricordiamo, ha origine lontane e discende dal lontano 2005, allorquando con la riforma cosiddetta di medio termine della PAC, sono state create delle rendite in sostituzione agli aiuti diretti alle produzioni agricole; rendite per incassare le quali sarebbe stato sufficiente, da allora, dimostrare il possesso di tanti ettari di superficie corrispondenti al numero di titoli dichiarati.
Non era difficile, già da allora, immaginare quali fenomeni speculativi avrebbe prodotto tale nuovo sistema. Il caso di cronaca di cui oggi si parla che riguarda le montagne dell’Alto Lario (“Montagne d’euro” è il nome dell’operazione della G.d.F), rappresenta solo uno dei tanti rivoli lungo i quali sono andati dispersi in questi anni un vero fiume di denaro; denaro che avrebbe dovuto servire, nelle intenzioni del legislatore europeo, a sostenere il sistema agricolo comunitario.
Sebbene per tutto questo periodo nessuno sembra si sia reso conto di ciò che accadeva nelle nostre vallate, le notizie che oggi riempiono le pagine di cronaca, la nostra Organizzazione, inascoltata, le denunciava fin dal lontano 2012 (https://www.cialombardia.it/truffa-dei-pascoli-cia-alta-lombardia-lo-segnalammo-piu-di-10-anni-fa/), non solo sul proprio organo di informazione, ma direttamente alla Procura della Repubblica, alla Corte dei Conti, all’Organismo pagatore regionale.
La frequente presenza nei pascoli dell’Alto Lario di “alpigiani di pianura”, figure che nulla hanno a che vedere con il territorio e i sistemi di allevamento propri delle nostre valli, avrebbe dovuto, riteniamo, insinuare più di un sospetto circa il reale interesse che animava tali soggetti a spingersi in questi territori per accaparrarsi centinaia di ettari di pascolo.
Sapere, come tutti sapevano, che il vero guadagno atteso da questi “imprenditori” non era quello della vendita dei prodotti dell’alpeggio, ma esclusivamente quello derivante dal mettere a frutto le rendite dei titoli posseduti avrebbe dovuto, riteniamo, far drizzare le antenne agli amministratori dei comuni proprietari di questi pascoli.
Sapere, come tutti sapevano, che la possibilità di monticare le superfici anche con bestiame di terzi (consentita fino al 2015) avrebbe consentito a questi soggetti di evitare persino il costo e l’incomodo di una parvenza di gestione del pascolo, avrebbe dovuto, riteniamo, indurre gli organismi di controllo ad accertarsi che le vacche dichiarate al pascolo non fossero solo sulla carta.
Constatare, come tutti siamo in grado di constatare, le crescenti condizioni di degrado del territorio montano, conseguenza anche dell’estromissione delle aziende agricole locali a vantaggio degli esotici alpigiani, avrebbe dovuto, riteniamo, allertare più di uno fra amministratori locali, componenti del ceto politico, ambientalisti da salotto e non.
Ma fino all’esplodere del bubbone “Montagne d’euro” di tutto ciò nessuno sembra fosse a conoscenza. E non è che ad oggi, malgrado i primi risultati dell’inchiesta, le cose stiano andando molto diversamente da quanto denunciavamo nel 2012.
Non che nulla sia cambiato, a dire il vero. E’ di certo cambiata, come dicevamo, quella regola che consentiva al percettore dei premi PAC di dichiarare in domanda gli animali di proprietà di terzi ai fini della dimostrazione del rapporto UBA/ettaro: regola che, finché vigente, rendeva estremamente agevole l’illecito, grazie anche al sistema di connivenze che l’indagine della G.d.F ha fatto emergere. Senz’altro Utile, quindi, la stretta che Agea nel 2015 ha dato rispetto a tale possibilità, ma di certo non risolutiva del problema.
Regione Lombardia, per canto suo, ha provato per quanto le fosse possibile, a stabilire delle regole di buona condotta ad uso degli amministratori degli enti locali, proprietari dei beni pubblici (D.g.r. 4 febbraio 2019 - n. XI/1209 Legge regionale 5 dicembre 2008 n. 31 – art. 24 ter - Approvazione delle «Linee guida per la gestione delle malghe e l’esercizio dell’attività d’alpeggio»), regole che, tuttavia, per dispiegare la loro efficacia esigono una chiara volontà da parte di tali amministratori al fine di preservare il territorio amministrato dalla speculazione. Ma siamo poi certi che tale volontà esista?
Se davvero così fosse, resterebbe da comprende come sia possibile che un comune come quello di Gravedona indica nell’anno 2020 una gara d’appalto per l’assegnazione, in un unico lotto, di ben tre alpeggi, la cui estensione è del tutto incompatibile con la possibile gestione da parte delle aziende agricole locali. E venendo meno tale possibilità, che tipo di utilizzo verrà fatto di tali beni? Sarà un utilizzo conforme a quello caratteristico dell’azienda agricola del territorio o, piuttosto, sarà un utilizzo finalizzato a minimizzare i costi e l’impegno della gestione, nella consapevolezza che il vero guadagno è quello dei premi della PAC?
Quali che siano le risposte a queste domande, il dato incontrovertibile che risulta da tale scenario è quello di un costante degrado delle nostre montagne, conseguenza, anche e soprattutto dell’abbandono, dei veri agricoltori, quelli che nel territorio erano una volta radicati.