Il lagotto romagnolo o più semplicemente lagotto, è una razza canina, dalle antiche origini italiane, che si è sviluppata nella zone paludose del delta del Po: del ravennate e nelle pianure di Comacchio. Lo standard del Lagotto Romagnolo è stato approvato dall'ENCI nel luglio 1992; mentre il 10 marzo 1995[1], la razza è stata riconosciuta a livello internazionale. Origini
Il lagotto in origine era
un cane da riporto d'acqua, utilizzo simile a quello di noti retriever; successivamente questa attitudine si è persa con la selezione a favore della cerca del tartufo. Il fatto che si tratti di una razza con origini molto antiche lo si desume anche dal fatto che un cane rassomigliante all'attuale lagotto si ritrova in raffigurazioni trovate nella necropoli etrusca di Spina (Ferrara)[3]. Gli etruschi avevano rapporti con popolazioni orientali, da cui potrebbe derivare la razza. L'insediamento della razza è antecedente a quello, nella pen*sola iberica, del Cane d'acqua portoghese, affine al lagotto romagnolo. Lo stesso Linneo testimonia la presenza di un cane molto simile all'attuale lagotto, in epoca ben precedente la nascita del Cão de água português. In epoca romana e successiva, i cani si diffusero nella zona che va da Ravenna fino al Friuli passando per la zona delle Valli di Comacchio[3]. Parete dell'Incontro; sullo sfondo in basso a sinistra, un cane simile all'attuale lagotto. In un famoso affresco del Mantegna: L'incontro, visibile nella Camera degli Sposi nel Palazzo Ducale dei Gonzaga di Mantova,[4] osserviamo un cane del tutto simile all'attuale lagotto romagnolo. Inoltre sono numerose le citazioni, in molti documenti a partire del XVI secolo, di un cane da riporto riccioluto del tutto simile all'attuale lagotto. Il nome della razza trae origine dal dialetto romagnolo: “Càn Lagòt”; che significa: “cane da acqua” o “cane da caccia in palude dal pelo riccio e ispido”. Secondo altre fonti le origini del nome ha certamente origine da espressioni dialettali, si ipotizza, infatti, che derivi dal termine dialettale con il quale si chiamano gli abitanti di un paesino delle valli di Comacchio: Lagosanto, detti appunto "lagotti". Questa cosa viene riportata, anche, da Giovanni Morsiani che a sua volta cita Gian F. Bonaveri in una pubblicazione del 1761 intitolata: Della città di Comacchio delle sue lagune e pesche.[5] Questi racconta che i valligiani usavano per il riporto della selvaggina dei cani bianchi dal pelo folto e riccio. Infatti, prima delle bonifiche del '800, nelle valli di Comacchio e nelle zone paludose della Romagna, il cane veniva utilizzato per il riporto della selvaggina volatile (specie le folaghe). In questa attività un ruolo decisivo hanno il pelo e il sotto pelo della razza che proteggono l'animale dal contatto dell'acqua, spesso gelida, consentendogli un capacità di lavoro insuperabile. Parallelamente a questa attività venatoria il lagotto svolgeva un'utile, ma meno nota, attività di ricerca del tartufo, allora ben più abbondante. Questa attività successivamente ha preso il sopravvento fino a specializzare la razza in questa attività in modo esclusivo nell'intero panorama mondiale; anche e soprattutto perché la razza è ottimamente addestrabile e possiede un'ottima cerca e un notevole olfatto. Con la scomparsa, ad opera delle bonifiche, delle valli paludose si è persa la necessità ad utilizzare il lagotto come Retriever|cane da riporto. Inoltre, parallelamente con la scomparsa nelle vigne dei supporti in legno a favore di quelli in cemento e con l'impoverimento dei boschi in pianura, si è avuta la scomparsa dei tartufi nelle zone pianeggianti. A seguito di questa circostanza la cerca del tartufo si è spostata in zone più collinari e boschive, ed ancora una volta l'adattabilità della razza si è mostrata preziosa: il pelo e sotto pelo proteggono infatti l'animale dalle spine spesso presenti nel sottobosco[3]. XX secolo
Negli anni settanta, grazie all'attività di quattro appassionati ed esperti cinofili, la razza ricominciò ad acquistare l'originale purezza, che gli accoppiamenti con altre razze avevano in parte compromesso. I quattro autori della rinascita della razza furono Quintino Toschi, presidente del locale gruppo cinofilo di Imola, Francesco Ballotta, allevatore e giudice ENCI, Antonio Morsiani, cinologo, giudice ed allevatore e Lodovico Babini, esperto cinofilo romagnolo. Grazie ad essi la razza si avviò verso una rinascita; rinascita che ha il suo apice nel 1988 con la nascita del Club Italiano Lagotto,[2] che annovera oggi centinaia di iscritti. Il Club Italiano Lagotto ha contribuito in modo decisivo per ottenere il riconoscimento internazionale definitivo da parte della FCI. Inoltre ha parallelamente contribuito allo sviluppo internazionale degli iscritti della razza nei Club nazionali, in paesi come la Svizzera, l'Austria, l’Olanda, la Germania, la Francia, la Finlandia, la Svezia, la Norvegia, la Danimarca, la Gran Bretagna, la Slovenia, la Croazia, l'Ungheria, la Repubblica di San Marino, la Spagna, gli USA, l’Australia, la Nuova Zelanda e il Sudafrica. Con lo scopo di unire a livello internazionale i clubs e gli appassionati d questa antichissima razza il Club Italiano Lagotto, su proposta del suo presidente Prof. Giovanni Morsiani, ha fondato l'UMLAG (Unione Mondiale dei Clubs del Lagotto). I cuccioli iscritti all'ENCI già nel 2002 superavano la quota di 900[3]. Nel 2011 i cuccioli iscritti in un anno hanno superato le 1800 unità. Lo standard morfo-funzionale e lo Standard morfologico ufficiale della razza è stato redatto nel 1991 dal Dr. Antonio Morsiani, grande cinologo scomparso nel 1995. I Commenti allo Standard, indispensabile Studio di Zoognostica Canina (Cinognostica) applicato alla razza, sono stati redatti dal figlio di Antonio, Prof. Giovanni Morsiani e pubblicati nel suo libro sul Lagotto Romagnolo edito nel 1996 da Mursia - Milano.[1]. Fin dal 1992 il Club Italiano Lagotto ha inoltre iniziato il controllo ufficiale della displasia dell’anca in collaborazione con la CE.LE.MA.SCHE fondata dal Dr. Cesare Pareschi di Ferrara e la SCIVAC diretta dal Dr. Aldo Vezzoni di Cremona, effettuando anche controlli per le principali patologie ereditarie cardiache e oculari. Infine, vengono organizzate, su tutto il territorio italiano da parte del Club Italiano Lagotto, le prove attitudinali di cerca del tartufo nel tentativo di migliorare le eccellenti qualità funzionali della razza[3]. Dal 2012 le Prove di Cerca del Tartufo riservate al Lagotto Romagnolo sono state ufficialmente riconosciute dall'ENCI e, a conclusione di un iter durato oltre trent'anni, il Club Italiano Lagotto vede la formazione di 12 nuovi giudici di prove, tutti esperti allevatori di lagotti e tartufai spesso da generazioni, integralmente formatisi al suo interno e che vanno ad aggiungersi ai giudici specialisti storici già attivi da anni in esposizione e prove di lavoro di questa razza.Il Lagotto è nato per lavorare attivamente. Sono molto fedeli e amorevoli cosa che lo rende un cane da compagnia ideale per la famiglia. Essi sono estremamente adatti all'addestramento. Vanno molto facilmente d'accordo con altri animali, se socializzati fin dalla giovane età. Il lagotto ha bisogno di molto esercizio e devono sempre essere impegnati in un lavoro. Hanno un istinto naturale per il recupero e in genere non vengono disturbati dal gioco o da altri animali selvatici. Oggi il Lagotto viene allevato soprattutto come cane da ricerca del tartufo e non come cane da caccia o da riporto. Infatti, il loro olfatto molto sviluppato li rende eccellenti cani da ricerca. Sono, inoltre, eccellenti nuotatori che non mostrano esitazione in qualunque tipo di ambiente acquatico. Hanno un mantello molto impermeabile che li rende capaci di lavorare a lungo in acque anche gelide. Il lagotto va d'accordo con i bambini diventandone ottimi compagni a condizione che facciano un esercizio sufficiente.
È una razza facilmente addestrabile a vari compiti, ha una scarsa propensione all'abbaio; e non è aggressivo verso i consimili. Il lagotto ama scavare e deve essere istruito a non scavare nei giardini; molti proprietari creano loro un angolo apposito per consentire loro di soddisfare le esigenze di scavatori.