percorsi espressivi

percorsi espressivi Riflessioni sul mondo dell'espressività artistica, nelle sue diverse, infinite forme: nella contemp

Notizie, iniziative, riflessioni sul tema dell'espressività nella clinica, nell'area educativa, nella cultura.

Il numero di settembre della rivista  USA "Stereophile" ha pubblicato un ricordo di Paolo Caru' - Libreria Dischi ("An i...
03/10/2024

Il numero di settembre della rivista USA "Stereophile" ha pubblicato un ricordo di Paolo Caru' - Libreria Dischi ("An icon passes") e del suo negozio di dischi a Gallarate, meta di innumerevoli viaggi negli ultimi 50 anni e di indimenticabili scoperte musicali.

25/01/2022

E' recentemente scomparsa Joan Didion, donna intelligentissima che ebbe la fortuna di osservare i grandi cambiamenti della cultura americana del dopoguerra. Ho ancora "The white album", libro-cronaca del 1979, nel quale ella cerca di trovare un senso nelle cose che le accadono e che vede accadere intorno a lei. In genere, ammetteva, non lo trovava, le sembrava che vi fossero nella vita in genere "storie senza una narrazione". Mi colpisce, rileggendo alcune pagine, quanto le disse il neurologo a cui si era rivolta dopo avere avuto la conferma di una diagnosi di una sclerosi multipla, fatto che rendeva brutalmente, scrive, "probabile l'improbabile": la malattia, la sofferenza, la morte, il senso di sè come malata. Alle sue domande su come sarebbe stata la sua vita a allora in poi, su come la malattia sarebbe andata avanti, il medico non seppe bene che cosa rispondere, se non, alla fine:"faccia una vita semplice. Non che questo faccia poi così differenza". Difficile da capire, certo; però c'è in questo una saggezza profonda e naturale, che dice che accettare quello che viene, come viene, è un modo di essere nelle cose. California, 1969.

28/06/2021
15/01/2020
Legato come sono, da sempre, al mondo della musica rock, ho accolto con gioia ma anche con una punta di pessimismo la no...
13/01/2020

Legato come sono, da sempre, al mondo della musica rock, ho accolto con gioia ma anche con una punta di pessimismo la notizia dell'uscita del nuovo album degli Who, intitolato semplicemente "Who". Nella ormai consueta categoria delle rockstar che sono sopravvissute, sono invecchiate, e tirano avanti scimmiottando se stesse (vedasi gli Stones) quella di Townshend e Daltrey mi sembra una parabola interessante. Si tratta prima di tutto di un disco che contiene solo canzoni nuove, scritte come sempre da Pete Townshend, ormai al di là dei 70 anni. Sono canzoni che non scimmiottano lo stile antico ed originario del gruppo che diede un senso ad una generazione affermando "spero di morire prima di diventare vecchio". Lo stile, l'atteggiamento, è pacificato, sereno, senza fretta e senza rabbia. Allo stesso tempo c'è del nuovo, un senso di sè che non ha bisogno di urlare e percuotere, ma che racconta come si può continuare a vivere guardandosi intorno e guardandosi dentro. Viene da confrontare questo materiale con quanto presentato da Bruce Springsteen pochi mesi fa (il disco si chiama "Western Stars"); pieno di malinconia, di senso del declino, e quasi del tutto privo di originalità.
Se quello era il disco di un uomo vecchio, come ha detto un amico di mia nipote, allora gli Who possono anche essere vecchi, ma non sono ancora morti, e vivere da vecchi può essere ancora vivere.

29/05/2019

"...e mi guardai allo specchio. Riflessa lì c'era la mia faccia. Era da un bel po' che non mi osservavo così, dritto negli occhi. Yuzu aveva detto che in uno specchio si vede soltanto una rifrazione fisica. Eppure il mio viso mi sembrava solo la parte immaginaria di me stesso. Come se a un certo punto mi fossi diviso in due. E quella che vedevo era la parte che non avevo scelto" (Murakami Haruki:"L'assassinio del commendatore. Libro Primo: Idee che affiorano", 2017). In questo brano trovo condensata perfettamente la idea che governa il lavoro del vedere se stessi in psicoterapia, usando il video e la propria immagine. Sapendo attendere, e imparando ad ascoltare, si può cercare proprio la parte immaginaria di se stessi, quella che non si è scelti.

Analogie imprevedibili.                                            Incontro interessante, lunedì scorso, con Matt Saling...
16/05/2019

Analogie imprevedibili. Incontro interessante, lunedì scorso, con Matt Salinger, figlio del grande J D Salinger, autore de "Il giovane Holden". Era alla libreria Gogol*Company, a Milano, per parlare della sua attività di scoperta e ricompilazione delle numerose opere inedite del padre (che rifiutò, come è noto, di apparire in pubblico dopo il primo momento di grande successo, e rimase per decenni nell'ombra; si può vedere alla fine del post una delle sue ultime immagini). Una delle componenti della sua scelta era quella di lasciare parlare le sue opere, così che il lettore potesse incontrare nel modo più libero possibile l'opera e quello che essa generava, senza influenzamenti di sorta. Anche per questo voleva che le copertine di tutti i suoi libri fossero completamente bianche; parlando alla fine dell'incontro del rifiuto del padre anche di accettare versioni cinematografiche dei suoi racconti, Matt ha sottolineato che il padre voleva che l'unico film generato dalla lettura fosse quello "nella testa del lettore". Ascoltando di questa scelta severa e, credo, nobilissima di un autore, mi è venuta alla mente, vista la mia professione, l'ultima Tavola del TAT: si tratta di un test psicologico e psicodiagnostico, nel corso del quale vengono presentate diverse Tavole che riportano un disegno a matita he il soggetto viene invitato a commentare: che cosa sta accadendo, come si è giunti lì e che cosa succederà dopo. L'ultima Tavola, che mi riporta alle copertine di J D Salinger, è completamente bianca, e si viene invitati a dire quello che ci si vede. Mi è sempre sembrato un finale splendido per questo test, che conduceva una persona al proprio interno senza difficoltà (nessuno ha mai manifestato difficoltà di fronte a questa Tavola). Anche in questo caso prende vita il film che si ha di dentro, e fa pensare alla profonda e rigorosa scelta dell'autore americano come ad un dono per il lettore.

Dal film "Aventuras de Robinson Crusoe", di Luis Bunuel, 1954.Dal film "Aventuras de Robinson Crusoe", di Luis Bunuel, 1...
06/01/2019

Dal film "Aventuras de Robinson Crusoe", di Luis Bunuel, 1954.Dal film "Aventuras de Robinson Crusoe", di Luis Bunuel, 1954.

Nell'ultima notte sull'isola deserta, sulla quale è rimasto in quasi totale solitudine per 28 anni, Robinson Crusoe incontra due ammutinati che hanno scelto di restare lì piuttosto che affrontare il tribunale in patria.In quell'incontro, dopo un aspro e sanguinoso conflitto tra le due fazioni in cui si era diviso l'equipaggio, Robinson spiega loro come vivere sull'isola. Insegna loro come fare il pane, dà indicazioni sull'allevamento degli animali ed una scorta di semi da coltivare. Infine, lascia loro le sue armi.
In pratica, affida l'isola ai suoi nuovi custodi, e facendo questo risulta umano e disponibile, protettivo verso persone che avrebbe anche potuto odiare o giustiziare, essendo stati rivali durante le lotte appena concluse.
E' un momento, alla fine di un libro aspro e sicuramente poco vicino allo stile moderno, in cui ho sentito un'atmosfera di quiete, in cui si capisce che la guerra di quest'uomo è finita.
La storia di Robinson non era in realtà cominciata allo stesso modo: la sua uscita da casa, all'inizio del romanzo, era avvenuta di nascosto, in conflitto con il padre che gli consigliava fortemente di restare nella mediocrità in cui erano sempre vissuti (diceva "siamo il gradino più alto del livello basso"); in questo modo avrebbe evitato i rischi e le incertezze riservate ai poveri, e l'orgoglio, il lusso, l'ambizione caratteristiche delle classi agiate.
Era un messaggio conciliante, moderato, in fondo timoroso, nei confronti di un giovane che cercava il proprio destino, e a questo Robinson rispose con una ricerca incessante di realizzazione e sicurezza, contro una serie infinita di guai e peripezie, che a volte gli appaiono una specie di castigo divino per la sua fuga e la sua audacia. Queste però non lo piegano mai, lui mantiene in se stesso la stessa incrollabile, indefettibile idea di avere ragione, di poter continuare sempre.
Così, alla fine, senza che mai abbiamo colto nel dipanarsi della sua storia il senso della sconfitta o della rinuncia, conclude il suo viaggio dentro di sé mostrando ai suoi successori, compagni ma anche un po' figli, che non si può detenere il sapere, che è meglio parlare, raccontare quello che si è fatto e regalarlo, a buon diritto, a chi può averne bisogno.

La visita di Matera, sempre più di moda, dovrebbe necessariamente aprirsi e concludersi di fronte alla tela "Lucania '61...
06/08/2018

La visita di Matera, sempre più di moda, dovrebbe necessariamente aprirsi e concludersi di fronte alla tela "Lucania '61", dipinta da Carlo Levi in occasione della Mostra "Italia '61", che si tenne a Torino in occasione del centenario dell'unità d'Italia. E' una grande tela, nella quale si vedono con forza i tratti della povertà e della speranza, dell'arcaicità e del cambiamento forse nemmeno atteso e sperato. Mi ha colpito l'immagine dell'asino in mezzo ai bambini, la loro convivenza antica e naturale. La visita a Matera è quindi un dovere civile, non l'accesso ad un singolare Luna Park dove vediamo come vivevano antichi e strani fratelli italici. Tutte le guide ci dicono che Matera venne definita "vergogna d'Italia", ai tempi di De Gasperi e Togliatti: io la vedrei all'inverso, è l'Italia che fu la vergogna di Matera, a lasciarla così, dimenticata e sola. Il Museo di palazzo Lanfranchi era però quasi desolatamente vuoto, pochissimo segnalato e proposto al pubblico, che si muove per i Sassi. Un quadro potente, che ci ricorda che la povertà non è una colpa, nè un destino.

Nella grande febbre delle rievocazioni del passato, spesso superficiale, mi viene una riflessione su una canzone dei Bea...
02/04/2018

Nella grande febbre delle rievocazioni del passato, spesso superficiale, mi viene una riflessione su una canzone dei Beatles, sulla prima facciata del grande "Sgt.Pepper's lonely hearts club band".

"She's leaving home" è una canzone sommessa, nella quale non compaiono chitarre o batteria ma un quartetto d'archi; ci parla di una ragazza, che nelle prime ore di un mercoledì mattina si prepara a fuggire da casa, "lasciando un appunto che sperava potesse dire di più"; scende in cucina, apre silenziosamente la porta di casa, "and she's gone".
Fin qui, tutto quasi normale, poteva sembrare il consueto racconto di una rivolta, di una ricerca di sé andando a caccia del mondo.
Poco dopo, però, sentiamo la voce dei genitori, un piccolo coro che ci offre un altro punto di vista: "Le abbiamo dato la maggior parte della nostra vita/ abbiamo sacrificato la grande parte della nostra vita/ le abbiamo comprato tutto quello che il denaro poteva comprare./ Lei sta lasciando casa sua, dopo aver vissuto sola per tanti anni".
Ci troviamo qui nel reale centro poetico della canzone: il montaggioospeso nella casetta inglese di due scene - la ragazza che se ne va in segreto da casa, ad incontrare un uomo che aveva conosciuto e che la porterà chissà dove, e i genitori che sentono di avere fatto il possibile sapendo comunque che non era abbastanza - ci racconta della difficoltà di parlarsi e di ascoltarsi, ma anche della inevitabilità del separarsi. E finisce delicatamente, in modo forse rassegnato: "she's leaving home, bye bye".

Il coro dei genitori venne anche definito, in seguito, "il coro greco", e questa definizione non è casuale nè inappropriata. Come nelle tragedie greche, il coro osserva e commenta, stando in qualche modo all'esterno dell'azione. Ci veniva suggerito da Lennon un altro punto di vista, con coraggio e lucidità: al di là della rivolta e di ogni contestazione, ognuno può avere le proprie ragioni, e può soffrire anche se non lo dà a vedere. I genitori della canzone sentono emotivamente quello che sta succedendo, stanno accettando il distacco e l'inevitabilità (in qualche modo tragica, traumatica) della separazione dalla figlia.
Un tempo tendevo più ad identificarmi nella ragazza e nella rabbia che la faceva andare via; oggi, molti anni dopo, tendo di più a capire i genitori, a pensare che forse essi, nella loro stanza, sappiano che cosa sta succedendo, e lo lascino accadere perché non può andare che così.
Nella costruzione di questo clima, in cui non c'è rabbia e non c'è rivolta, Lennon e gli altri si dimostrano davvero grandissimi, fuori dal tempo nel descrivere la realtà universale e senza tempo del dolore e del distacco.

Elvis Costello, leggiamo sul New Yorker di questa settimana, presenterà nel suo prossimo concerto foto di famiglia ed og...
08/03/2018

Elvis Costello, leggiamo sul New Yorker di questa settimana, presenterà nel suo prossimo concerto foto di famiglia ed oggetti personali proiettati sullo sfondo del palco. E’ un’altra traccia del rilievo della storia personale nella costruzione di sè.

“Non mi riconosco” scriveva Gillo Dorfles sulla sua faccia. È qualcosa di molto vicino all’esperienza del vedere se stes...
03/03/2018

“Non mi riconosco” scriveva Gillo Dorfles sulla sua faccia. È qualcosa di molto vicino all’esperienza del vedere se stessi sperimentata nelle tecniche video. Riconoscersi e non riconoscersi, non trovarsi più, anche nella devastazione prodotta dal tempo.

Bene, il Corso è finito, con un fine settimana in cui ci siamo immersi nelle interviste video (madri, figlie, nipoti) tr...
01/03/2018

Bene, il Corso è finito, con un fine settimana in cui ci siamo immersi nelle interviste video (madri, figlie, nipoti) trovandoci coinvolti nelle relazioni e nello scambio, con domande forse mai fatte e sguardi rinnovati. E' stato interessante e ricco di progetti per il futuro; infatti, si continua a maggio, ad un ritmo differente, certamente sempre coinvolti e vivaci.

05/12/2017
Seconda giornata Del corso “la persona che me. Vedere se stessi nell’epoca del digitale”, a Milano. Tema della giornata:...
07/11/2017

Seconda giornata Del corso “la persona che me. Vedere se stessi nell’epoca del digitale”, a Milano. Tema della giornata: psyvideoclip

La morte di Harry Dean Stanton riporta inevitabilmente alla mente il suo personaggio in Paris, Texas, soprattutto nella ...
16/09/2017

La morte di Harry Dean Stanton riporta inevitabilmente alla mente il suo personaggio in Paris, Texas, soprattutto nella scena con Nastassja Kinski, nel peep-show. i due volti si mescolano, si confondono, rappresentano il ritrovarsi ed il perdersi di nuovo dei due personaggi che un tempo si amarono.

21/06/2017

Indirizzo

Lodi
26854

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