06/01/2019
Dal film "Aventuras de Robinson Crusoe", di Luis Bunuel, 1954.Dal film "Aventuras de Robinson Crusoe", di Luis Bunuel, 1954.
Nell'ultima notte sull'isola deserta, sulla quale è rimasto in quasi totale solitudine per 28 anni, Robinson Crusoe incontra due ammutinati che hanno scelto di restare lì piuttosto che affrontare il tribunale in patria.In quell'incontro, dopo un aspro e sanguinoso conflitto tra le due fazioni in cui si era diviso l'equipaggio, Robinson spiega loro come vivere sull'isola. Insegna loro come fare il pane, dà indicazioni sull'allevamento degli animali ed una scorta di semi da coltivare. Infine, lascia loro le sue armi.
In pratica, affida l'isola ai suoi nuovi custodi, e facendo questo risulta umano e disponibile, protettivo verso persone che avrebbe anche potuto odiare o giustiziare, essendo stati rivali durante le lotte appena concluse.
E' un momento, alla fine di un libro aspro e sicuramente poco vicino allo stile moderno, in cui ho sentito un'atmosfera di quiete, in cui si capisce che la guerra di quest'uomo è finita.
La storia di Robinson non era in realtà cominciata allo stesso modo: la sua uscita da casa, all'inizio del romanzo, era avvenuta di nascosto, in conflitto con il padre che gli consigliava fortemente di restare nella mediocrità in cui erano sempre vissuti (diceva "siamo il gradino più alto del livello basso"); in questo modo avrebbe evitato i rischi e le incertezze riservate ai poveri, e l'orgoglio, il lusso, l'ambizione caratteristiche delle classi agiate.
Era un messaggio conciliante, moderato, in fondo timoroso, nei confronti di un giovane che cercava il proprio destino, e a questo Robinson rispose con una ricerca incessante di realizzazione e sicurezza, contro una serie infinita di guai e peripezie, che a volte gli appaiono una specie di castigo divino per la sua fuga e la sua audacia. Queste però non lo piegano mai, lui mantiene in se stesso la stessa incrollabile, indefettibile idea di avere ragione, di poter continuare sempre.
Così, alla fine, senza che mai abbiamo colto nel dipanarsi della sua storia il senso della sconfitta o della rinuncia, conclude il suo viaggio dentro di sé mostrando ai suoi successori, compagni ma anche un po' figli, che non si può detenere il sapere, che è meglio parlare, raccontare quello che si è fatto e regalarlo, a buon diritto, a chi può averne bisogno.