11/12/2024
Il poeta Giovanni Pascoli
fu arrestato nel settembre 1879 e rinchiuso in una cella di San Giovanni in Monte con l'accusa di anarchia. Sarà liberato
il 22 dicembre dello stesso anno. Durante la prigionia ebbe l'ispirazione per scrivere la struggente poesia “La voce”, il cui incipit recita così: “C'è una voce nella mia vita...”Il poeta immaginava che fosse la madre non più in vita a parlargli per consolarlo e scuoterlo dalle sue sofferte vicissitudini.
La voce
C’è una voce nella mia vita,
che avverto nel punto che muore:
voce stanca, voce smarrita,
col tremito del batticuore:
voce d’una accorsa anelante,
che al povero petto s’afferra
per dir tante cose e poi tante,
ma piena ha la bocca di terra:
tante tante cose che vuole
ch’io sappia, ricordi, sì… sì…
ma di tante tante parole
non sento che un soffio… Zvanì…
Quando avevo tanto bisogno
di pane e di compassione,
che mangiavo solo nel sogno,
svegliandomi al primo boccone;
una notte, su la spalletta
del Reno, coperta di neve,
dritto e solo (passava in fretta
l’acqua brontolando, si beve?);
dritto e solo, con un gran pianto
d’avere a finire così,
mi sentii d’un tratto daccanto
quel soffio di voce… Zvanì…
Oh! la terra, come è cattiva!
la terra, che amari bocconi!
Ma voleva dirmi, io capiva:
No… no… Di’ le devozïoni!
Le dicevi con me pian piano,
con sempre la voce più bassa:
la tua mano nella mia mano:
ridille! vedrai che ti passa.
Non far piangere piangere
piangere
(ancora!) chi tanto soffrì!
il tuo pane, prega il tuo angelo
che te lo porti… Zvanì…
Una notte dalle lunghe ore
(nel carcere!), che all’improvviso
dissi – Avresti molto dolore,
tu, se non t’avessero ucciso,
ora, o babbo! – che il mio pensiero,
dal carcere, con un lamento,
vide il babbo nel cimitero,
le pie sorelline in convento:
e che agli uomini, la mia vita;
volevo lasciargliela lì…
risentii la voce smarrita
che disse in un soffio… Zvanì…
Oh! la terra come è cattiva!
non lascia discorrere, poi!
Ma voleva dirmi, io capiva:
Piuttosto di’un requie per noi!
Non possiamo nel camposanto
più prendere sonno un minuto,
ché sentiamo struggersi in pianto
le bimbe che l’hanno saputo!
Oh! la vita mia che ti diedi
per loro, lasciarla vuoi qui?
qui, mio figlio? dove non vedi
chi uccise tuo padre… Zvanì.
Quante volte sei rivenuta
nei cupi abbandoni del cuore,
voce stanca, voce perduta,
col tremito del batticuore:
voce d'una accorsa anelante
che ai poveri labbri si tocca
per dir tante cose e poi tante;
ma piena di terra ha la bocca:
la tua bocca! con i tuoi baci,
già tanto accorati a quei dì!
a quei dì beati e fugaci
che aveva i tuoi baci... Zvanî!...
che m'addormentavano gravi
campane col placido canto,
e sul capo biondo che amavi,
sentivo un tepore di pianto!
che ti lessi negli occhi, ch'erano
pieni di pianto, che sono
pieni di terra, la preghiera
di vivere e d'essere buono!
Ed allora, quasi un comando,
no, quasi un compianto, t'uscì
la parola che a quando a quando
mi dici anche adesso... Zvanî...
*("Zvanì" era il diminutivo in romagnolo con cui il piccolo Giovannino veniva affettuosamente chiamato in famiglia).
X Agosto
San Lorenzo, io lo so perché tanto
di stelle per l’aria tranquilla
arde e cade, perché si gran pianto
nel concavo cielo sfavilla.
Ritornava una rondine al tetto:
l’uccisero: cadde tra spini:
ella aveva nel becco un insetto:
la cena de’ suoi rondinini
Ora è là, come in croce, che tende
quel verme a quel cielo lontano;
e il suo nido è nell’ombra, che attende,
che pigola sempre più piano.
Anche un uomo tornava al suo nido:
l’uccisero: disse: Perdono;
e restò negli aperti occhi un grido:
portava due bambole in dono.
Ora là, nella casa romita,
lo aspettano, aspettano in vano:
egli immobile, attonito, addita
le bambole al cielo lontano.
E tu, Cielo, dall’alto dei mondi
sereni, infinito, immortale,
oh!, d’un pianto di stelle lo innondi
quest’atomo opaco del Male!
Giovanni Pascoli, scrisse questa poesia per ricordare l'assassinio del padre.
"X Agosto" fu pubblicata per la prima volta il 9 agosto 1896 ne "Il Marzocco" e successivamente fu inserita nella sezione "Elegie delle Myricae".
GIOVANNI PASCOLI nacque nella casa materna di San Mauro di Romagna il 31 dicembre 1855. Figlio quartogenito di Caterina Vincenzi Alloccatelli e di Ruggero Pascoli, ebbe come fratelli Margherita, Giacomo, Luigi, Raffaele, Giuseppe, Ida e Maria (altre due sorelle, Ida e Carolina, morirono in tenera età). Visse felicemente i primi anni della sua vita nella casa natale di San Mauro, trascorrendo giorni spensierati nella tenuta dei Principi Torlonia chiamata “La Torre” che il padre Ruggero amministrava.
Nel 1862, all’età di sette anni, Giovanni cominciò a frequentare, insieme ai fratelli maggiori Giacomo e Luigi, il collegio dei Padri Scolopi di Urbino, dove resterà fino ai sedici anni.
Nel tardo pomeriggio di sabato 10 agosto 1867, sulla via Emilia, tra Savignano e Longiano, mentre Ruggero ritorna verso casa col suo calesse, viene colpito a morte da una fucilata.
Ruggero Pascoli, amministratore della tenuta "La Torre" dei principi Torlonia,fu assassinato, ufficialmente da ignoti. L'omicidio, che fu opera probabilmente di criminali ed estremisti politici, influì pesantemente sulla psicologia del futuro poeta.
Giovanni Pascoli è uno degli autori più prolifici e studiati del Novecento. Interprete principale della poesia simbolista italiana, è anche uno dei più complessi da memorizzare, per le tante figure retoriche di cui sono costellate le sue poesie.
I Canti di Castelvecchio sono collegati alla sua prima racc**ta anche dal punto di vista stilistico, ma vedono anche tornare alcuni temi della seconda (la vita campestre, in particolare). Castelvecchio è il paese nel quale il poeta si rifugia nei momenti di riposo e al quale rimanda il titolo, sia il paese natale, luogo del nido perduto. Non mancano ancora temi come il sesso, vissuto con turbamento, e la morte, rifugio finale.
I Poemi conviviali - il cui nome deriva dall'essere stati pubblicati in gran parte sulla rivista Il Convito - comprendono poemetti dedicati a personaggi e fatti del mito e della storia antica, dalla Grecia fino al Cristianesimo delle origini. la lingua ricalca stilemi classici, ma anche qui tornano i soliti temi pascoliani.
Il decadentismo di Pascoli è leggermente diverso da quello di altri autori italiani e stranieri a lui contemporanei. Ciò che lo classifica come un poeta decadente è la crisi della scienza e del positivismo che manifesta nell'ultimo periodo della sua vita, ma anche la rappresentazione della realtà attraverso valenze simboliche, che si legano al mistero che c'è al di là delle stesse.
Altro elemento tipico del decadentismo in Pascoli è il pessimismo, che nasce dalla morte di suo padre, vittima del male del mondo, e che non trova sollievo neppure nella ricerca di una fratellanza tanto agognata.
La poetica del fanciullino è espressa nell'omonimo saggio del 1897. Pascoli dice che il poeta deve guardare il mondo con li occhi di un fanciullino, e lasciarsi andare allo stupore. la poesia di Pascoli diventa in questo modo conoscenza prerazionale, non logica, al punto che il poeta riesce, con la sua capacità, a cogliere anche i simboli irrazionali e le verità più misteriose. Il poeta è quindi un veggente: rispetto agli altri uomini si nutre di mistero ed è in grado di decifrarlo.
I temi principali di Pascoli sono: la natura e la campagna (generalmente idealizzate), le piccole cose (tutte ugualmente degne di entrare in letteratura ed essere menzionate), le vicende autobiografiche (che in genere prendono le mosse dalla morte del padre, come "X agosto"), e infine il mito e la storia antica (che prendono invece ispirazione dalla sua formazione classica).
La poesia per Pascoli ha un'utilità morale e sociale, secondo i dettami dell'estetismo. La poesia pura di Pascoli è portatrice di un grande messaggio sociale, una sorta di utopia umanitaria, il sogno irrealizzabile di un mondo migliore.
Pascoli si occupa di politica attivamente fino al 1879, anno in cui, da aderente al partito socialista, viene incarcerato per tre mesi. Una volta uscito, smette la sua carriera politica, lasciandosi andare unicamente al supporto interventista per la guerra coloniale del 1911 con il discorso "La grande proletaria si è mossa".
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