14/11/2024
Il leone Ciccio, celebre recluso di villa Giulia, a Palermo, fu al centro di un clamoroso equivoco esistenziale. La sua acuta sofferenza di prigioniero in gabbia era lo spasso innocente dei bambini che non capivano e non vedevano le lacrime del re della foresta ridotto a servitore dell’altrui letizia. Il suo lamento della cattività era scambiato per un ruggito possente, ma si riduceva – ripensandoci – a un rauco auto-commiserarsi. Povero Ciccio, spirito libero che tutti ricordano, intrappolato nella fantasia dei bimbi immersi nel mondo Disney. Per cui: il cerbiatto che mangiava molliche di pane dalle mani era stato soprannominato Bambi, il leone ristretto somigliava a un personaggio da cartoni animati e perfino l’anatroccolo marrone e bitorzoluto che non riusciva mai a prendere la sua mollichina di pane, soverchiato dagli altri, veniva considerato un amabile tontolone. Tutti noi che eravamo bambini non abbiamo mai dimenticato Ciccio, Bambi e il trenino che ti conduceva nelle praterie immaginifiche di zio Zeb (alla conquista del West), con indiani e contrabbandieri cinematografici pronti all’agguato.
Dobbiamo all’amore per la cronaca di un grande giornalista come Franco Lannino una più giusta memoria del leone ingabbiato. “Era una mattina torrida di agosto del 1990, fu finalmente deciso che il leone Ciccio di villa Giulia doveva lasciare quella angusta e lurida gabbia dove passò decenni di solitudine e di privazione solo per far piacere ad orde di bambini che la domenica accompagnati dai genitori, lo andavano a visitare – ha scritto Franco su Facebook -. La sua nuova destinazione fu lo zoofattoria di Terrasini dove Ciccio visse la sua seconda vita. Noi eravamo li ad assistere alle operazioni di trasferimento. Un inserviente gli lanciò un pollo intero per cercare di convincere il leone ad entrare nella gabbia di contenimento ma non ci riuscì. Il chirurgo plastico Pietro Quatra che gestiva lo zoofattoria e che dirigeva le operazioni di trasferimento, decise di narcotizzarlo. Sparò a Ciccio un dardo per addormentarlo”.
Il finale racconta lo scatto a corredo del post: “E fu proprio in quell’attimo che Michele Naccari prese la fotografia che vedete. Il leone era stato appena colpito e si nota benissimo la smorfia di dolore e rabbia. Quello stesso giorno Ciccio fu trasferito a Terrasini. Non gli andò male, visse in un grande recinto con vista mare e tanto sole in compagnia di una bella leonessa con cui ebbe due fantastici leoncini bianchi. Ciccio si spense naturalmente circa tre anni dopo, contemplando il sole di quei bellissimi tramonti africani sul mare tipici della costa di Terrasini, a ricordargli la sua terra d’origine che egli non conobbe mai.
C’è poesia nelle parole di Franco che mette alla ribalta la foto di un
altro grande fotoreporter.
E c’è soprattutto una postuma ricompensa alla memoria di Ciccio. Non sapevamo, almeno non tutti, che avesse trovato ristoro e sentimento in quel tramonto della sua vita. Averlo appreso ci rincuora e ci permette di fare pace con lui, offeso dalla nostra voglia di ‘vedere il leone’. Ciccio, eravamo bambini. Ovunque tu sia, amico, nell’immensità che ti accoglie, perdonaci.
Roberto Puglisi