11/09/2025
IL GIOCO
A tutti i cuccioli piace giocare, e questo è un dato di fatto incontrovertibile: giovanissimi esemplari di innumerevoli specie di mammiferi amano passare buona parte del loro tempo a interagire lasciandosi andare a tutta una serie di buffonate: inseguimenti, rotolamenti e ammucchiate, finti morsi e zampate, prepotenze e goffi tentativi di atterramento e prevaricazione.
E osservarli, oltre che suscitare ilarità, scalda sicuramente il cuore per effetto soprattutto del kindchenschema di lorenziana memoria. Come resistere a questi piccoletti tutti presi dalle loro “pagliacciate”?
Ma il gioco nasconde in realtà un significato ben più profondo e importante, tutt’altro che scherzoso. L’interazione intraspecifica tra giovanissimi esemplari, quasi sempre tra membri della stessa cucciolata, è a dir poco cruciale per un corretto sviluppo etologico e cognitivo. Giocare, in altre parole, è una vera e propria scuola di vita: interagendo tra loro, i cuccioli acquisiscono non solo coscienza di specie – imparando così a riconoscere la propria specie e a riconoscersi in essa – ma il linguaggio specie-specifico fondamentale per interfacciarsi e relazionarsi coi propri simili. Al di là delle basi imprescindibili dell’educazione di specie, impartita quasi sempre dalla madre, è dunque il tempo passato coi fratelli e le sorelle ad affinare il “linguaggio” che poi servirà a ogni esemplare per affermarsi e ribadire il suo posto in natura. Questo significa che un’infanzia passata a giocare si tradurrà in buone capacità comunicative: convivere/collaborare con i conspecifici, con membri del nucleo e/o con l’eventuale partner, esprimere dominanza e sottomissione, capire quando ritirarsi e come inibire l’aggressività altrui - magari salvandosi così la vita! - e quando ribadire autorità e farsi rispettare evitando dunque conflitti inutili o addirittura dannosi. Il tutto senza considerare quella lunga serie di stimoli/risposte comportamentali reciproche alla base dell’approccio e dell’interazione che portano i due sessi ad accoppiarsi, sviluppare un affiatamento e portare avanti l’allevamento della prole – ergo i comportamenti che portano il proprio DNA a perpetuarsi nelle generazioni.
I piccoli, instancabili, imparano a cogliere e a leggere segnali, mimica e posture, a esprimerne a loro volta, a lottare, mordere, atterrare i loro simili. Nel loro futuro, questi atteggiamenti simulati assumeranno contorni quantomai seri e i gli ex cuccioli saranno pronti a lottare, mordere, combattere, sottomettere, predare.
Per quanto i cuccioli - ai nostri occhi - giochino con goffaggine e leggerezza, basta osservarli con occhio più attento per rendersi conto di quanto si prendano sul serio. E non potrebbero fare altrimenti: stanno letteralmente “lavorando”, dedicandosi anima e corpo a un mestiere imprescindibile. È insito del loro patrimonio genetico, il gioco è un vero e proprio bisogno etologico primario. E non è solo la mente a trarre beneficio da queste attività: anche il fisico ha assoluto bisogno del gioco per una crescita sana ed equilibrata.
I cuccioli, giocando, sviluppano e potenziano la muscolatura e i riflessi con corse, salti, morsi, inseguimenti, prove di forza.
Ecco perché il gioco è la base essenziale di un sano sviluppo psicofisico e cognitivo, ragion per cui i cuccioli che crescono soli, senza stimoli comportamentali, senza il resto della cucciolata e impossibilitati a giocare/interagire in modo specie-specifico, presentano gravi lacune comportamentali e sono destinati – anche e soprattutto nell’età adulta – a soffrire di ritardi nel comportamento e nell’interazione. Questi cuccioli, a tutti gli effetti dei disadattati, possono avere grosse difficoltà a sopravvivere in natura poiché non parlano la “lingua” della loro specie e non saranno in grado di offrire risposte comportamentali adeguate agli stimoli offerti dai conspecifici. In altre parole, non saranno capaci di interagire coi loro simili e potrebbero essere costretti ad affidarsi in toto all’istinto: questo, tuttavia, potrebbe non bastare. E la loro vita, perlomeno per come dovrebbe essere secondo natura, sarebbe messa a grave repentaglio.
Chiaramente, non tutte le specie producono una prole numerosa: quando il cucciolo partorito è uno per volta, spesso si tratta di specie gregarie che conducono una vita strutturata in assembramenti/nuclei famigliari/pond. Ecco così che il cucciolo ha la possibilità di interagire con altri coetanei che nascono e crescono nello stesso gruppo. In caso di specie solitarie, che interagiscono coi propri simili solo in caso di sporadici incontri/dispute territoriali e/o stagione riproduttiva, un cucciolo ha comprensibilmente meno bisogno di sviluppare grandi capacità "interattive": in molti di questi casi, è la sola madre a provvedere per intero all'educazione di specie.