11/09/2025
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Famiglia SUIDAE
Si fa presto a dire “maiale”, ma con questo nome viene impropriamente designato un intero taxon – quello dei Suidae, per l’appunto – che è probabilmente uno dei più sottovalutati in assoluto dell’intero regno animale. Al punto che la parola “maiale” viene spessissimo usata come un intercalare negativo, un insulto e un termine di paragone volto a offendere e a sminuire.
In realtà, la famiglia Suidae (mammiferi ascritti all’ordine Artiodactyla, o secondo le rivisitazioni più recenti Cetartiodactyla) è uno dei gruppi più straordinari di euteri per diverse caratteristiche vincenti “fuse” tra loro, frutto di evoluzione sfociata in quelli che sono con ogni probabilità i più vincenti tra gli ungulati – intesi come mammiferi che si muovono sulle unghie.
La famiglia Suidae costituisce il sottordine Suiformes assieme a quella dei Tayassuidae: i pècari, quattro specie appartenenti a tre generi – Tayassu (1), Catagonus (1) e Pecari (2) – vengono talvolta strettamente (ed erroneamente) correlati ai suidi, ma fanno effettivamente parte di una famiglia a parte. I Tayassuidae, per l’appunto, presentano dimensioni assai ridotte, una distanza genetica considerevole dai Suidae, caratteristiche anatomiche peculiari e si sono evoluti esclusivamente sul continente americano – per l’esattezza negli Stati Uniti sud-occidentali e in America centro-meridionale.
La fisionomia dei suidi segue regole generali ben precise: presentano corpo massiccio, con collo breve e tronco generalmente cilindrico e poco affusolato (paragonabile alla forma di una botte). Le zampe, relativamente brevi, sfociano in uno “zoccolo” costituito da due dita - le omologhe del terzo e del quarto dito delle nostre mani – e dunque suddiviso in due parti: a poggiare sul terreno sono le unghie, particolarmente coriacee poiché ricoperte da un rivestimento corneo, costituito da cheratina. Posteriormente sono presenti altre due dita, corrispondenti al secondo e al quinto dito della nostra mano, più corte e poste più in alto. Sono detti speroni, in altre famiglie sono poco più che vestigiali ma nei suidi sono relativamente grandi: possono poggiare sul terreno soprattutto in caso di suolo soffice o durante corsa e salti, quando l’animale raccoglie il peso. Le unghie su cui questi animali poggiano sono a crescita continua, e vengono difatti consumate di continuo camminando.
La pelle dei suidi è in genere spessa, può essere ricoperta di peli ispidi, spessi, più o meno radi, ma non sono infrequenti specie – ed esemplari – dalla pelle quasi nuda. Il cranio, in tutti i rappresentanti della famiglia Suidae, è notevolmente affusolato grazie alla fronte lunga, al profilo piatto e a una canna nasale prominente, cilindrica, talvolta tubulare, dotata di quello che è forse il vero marchio di fabbrica della famiglia: il grugno, detto anche grifo. Trattasi di un disco cartilagineo che taglia il muso all’estremità, muso che presenta così l’aspetto tipicamente “tronco” tanto celebre dei suidi. Il disco ha consistenza quasi gommosa, rigida ma lievemente elastica, ed è sostenuto da un osso prenasale.
Sul disco sono presenti le narici: col grugno e la possente muscolatura del collo, l’evoluzione ha dotato questi mammiferi di uno strumento sopraffino trasformandoli in veri e propri aratri viventi. Possono rivoltare il terreno e smuoverlo per decine di centimetri: l’immane quantità di recettori olfattivi che trovano posto nella lunga canna nasale, uniti alle narici poste non a caso all’estremità del grugno, possono fiutare finemente il terreno smosso e percepire la presenza di materiale commestibile e/o di interesse. I suidi possiedono letteralmente un sensore dall’efficienza estrema in punta del loro strumento di scavo. L’olfatto superlativo è senza ombra di dubbio il senso più sviluppato dei suidi, questi animali hanno capacità percettive a livello chimico che vanno al di là della nostra immaginazione e che superano di gran lunga quelle di altri mammiferi celebri per il loro fiuto, come i canidi (Canidae).
L’olfatto viaggia su livelli così alti che gli altri sensi sono solo mediocri, con occhi in genere piccoli posti in posizione relativamente posteriore, ed orecchie anch’esse piuttosto piccole.
Altro marchio di fabbrica sono molto spesso i canini: la dentizione è piuttosto generica, non specializzata, e tradisce lo spettro alimentare in genere spiccatamente onnivoro di questi animali, ma i suddetti canini sono in genere ingrossati e crescono verso l’esterno arrivando a sporgere al di fuori della bocca soprattutto nel sesso maschile. Arrivano a toccarsi, restando a stretto contatto: canini superiori e inferiori assumono rispettivamente i nomi di coti e difese, e strofinando tra loro si mantengono estremamente affilati, appuntiti e taglienti. Sono armi assai temibili, utilizzate principalmente per difesa.
Buona parte delle specie di Suidae sono gregarie, con più esemplari che si riuniscono per vivere in gruppo e dinamiche sociali piuttosto complesse. Le regole possono cambiare a seconda della specie, in genere i gruppi sono costituiti dalle femmine e dai giovani, mentre i maschi adulti sono tendenzialmente solitari. Il vantaggio principale della vita di gruppo è spesso una difesa più efficiente dai predatori. Il contatto e la comunicazione vengono in genere mantenuti ed effettuati tramite grugniti e sbuffi di vario tipo ed eventualmente gridi e strilli più o meno acuti e rochi.
Oltre alla dentizione, l’apparato digerente dei suidi è il risultato (e al contempo il presupposto) di una dieta onnivora. Lo stomaco è monogastrico, e lo spettro alimentare – ad eccezione di poche specie perlopiù erbivore – è estremamente ampio. I suidi possono mangiare letteralmente di tutto, dai materiali vegetali più svariati (frutta, foglie, fiori, erba, radici, bacche) ad animali più piccoli – predando sia invertebrati che vertebrati – senza disdegnare carcasse e carogne anche in avanzato stato di putrefazione e – com’è ben noto - rifiuti dell’uomo di ogni tipo. Tutto ciò li rende animali estremamente adattabili, elastici, versatili, maestri di opportunismo, in grado di colonizzare quasi ogni habitat. E di conseguenza, anche molto intelligenti.
L’intelligenza, la curiosità e l’ingegno dei suidi, causa ed effetto del loro opportunismo, sono troppo spesso sottovalutati. Sono abitudinari, imparano in fretta, tramandano comportamenti vantaggiosi da una generazione all’altra, riescono a far fronte ad avversità e alle situazioni più disparate. La loro spiccata prolificità, alla bisogna, tiene anche al sicuro le popolazioni da eventuali pressioni predatorie. Il tutto senza considerare la grande vita emotiva, con meravigliose individualità, stati d’animo, propensioni e caratteri sempre diversi. Grande è anche il numero dei pregiudizi che li vedono protagonisti, nel bene e nel male: tanto per fare un esempio, non sono affatto “sporchi” e amano i bagni di fango poiché li puliscono da un gran numero di ectoparassiti.
Attualmente, e secondo le classificazioni più accettate, sono riconosciute 18 specie di suidi attualmente viventi – sono anche note innumerevoli specie estinte.
Mentre alcuni autori riconoscono cinque generi, altri arrivano a riconoscerne fino a otto. Buona parte degli studiosi ne riconoscono sei: Sus è di gran lunga quello con più specie, poi Phacochoerus, Potamochoerus, Hylochoerus, Babyrousa e Porcula.
La specie in assoluto più emblematica della famiglia è e resterà sempre il ben noto cinghiale (Sus scrofa), antenato selvatico e “forma ancestrale” del maiale (Sus scrofa domesticus), ma al genere Sus appartengono anche altre specie meno note: il cinghiale barbato (Sus barbatus), il cinghiale barbato di Palawan (Sus ahoenobarbus), il cinghiale dalle verruche delle Visayas (Sus cebifrons), il cinghiale dalle verruche di Celebes (Sus celebensis), il cinghiale dalle verruche di Mindoro (Sus oliveri), il cinghiale delle Filippine (Sus philippensis) e il cinghiale di Giava (Sus verrucosus).
Ben noto è anche il genere Phacochoerus, con le due specie facocero comune (P. africanus) e facocero del deserto (P. aethiopicus), mentre il (poco noto) genere Hylochoerus presenta una sola specie – l’ilochero, H. meinertzhageni, il più grande rappresentante della famiglia. Anche il genere Porcula presenta una sola specie, il cinghiale nano (P. salvania), mentre è più conosciuto il genere Potamochoerus con le specie potamocero (P. larvatus) e potamochero (P. porcus, senza dubbio la specie più “variopinta” della famiglia). Chiude infine il genere Babyrousa, con quattro specie: il babirussa delle Molucche (B. babyrussa), il babirussa di Bola Batu (B. bolabatuensis), il babirussa di Sulawesi (B. celebensis) e il babirussa delle Togian (B. togeanensis).
L’esponente più piccolo della famiglia è indubbiamente Porcula silvania, il cinghiale nano, con una lunghezza di 55-71 cm, un’altezza alla spalla di 20-25 cm e un peso che raramente supera gli 8 kg. Hylochoerus meinertzhageni, l’ilochero, è invece il più grande: i verri di questa specie possono raggiungere e superare i 200 cm di lunghezza a cui si aggiunge una coda di 25-45 cm, per un’altezza alla spalla che può raggiungere i 110 cm e un peso che può superare in certi casi i 250 kg.
La famiglia Suidae è originaria esclusivamente del Vecchio Mondo, dall’Europa alla zona indo pacifica passando per l’Africa e l’Asia sud-orientale. Gli habitat in cui i suidi vivono sono i più svariati, dalle foreste e dai boschi alle zone desertiche e semidesertiche passando per zone umide, praterie, spiagge, savane, contesti urbani. Cinghiali e maiali rinselvatichiti presenti sul continente americano, conosciuti come “razorback”, sono esclusivamente frutto di introduzioni da parte dell’uomo: è la famiglia Tayassuidae a essere nativa del suddetto continente. Mentre il cinghiale (Sus scrofa) conta su un areale estremamente ampio e su popolazioni numerose anche grazie a immissioni e reintroduzioni - oltre che alla sua adattabilità e prolificità -, altre specie contano su “ordinarie” popolazioni in natura e altre si sono evolute su un’areale e in un contesto assai ristretto: alcune di esse sono estremamente localizzate e in grave pericolo di estinzione, a causa dell’uomo e delle sue attività. Fanno parte di questo gruppo, ad esempio, i babirussa e alcune specie del genere Sus (S. cebifrons, S. oliveri, S. verrucosus).
Il maiale (Sus scrofa domesticus), infine, è una (sotto)specie non originariamente esistente in natura: si tratta del risultato della selezione da parte dell’uomo, volta a ottenere un animale da reddito massimizzando la produzione di carne. La selezione artificiale ha gradualmente modificato la fisionomia dell’animale per renderlo tristemente adatto allo scopo, con maiali ormai privi di pelo e pigmentazione, dalle forme più massicce e oblunghe, poco adatti alla corsa e al movimento, drasticamente tendenti all’ingrasso. Eppure tutto è partito dal cinghiale, animale meraviglioso, intelligente, adattabile, robusto, massiccio e potente ma al contempo agile e veloce, perfettamente adattato al suo habitat. Troppo spesso ci si dimentica delle incredibili qualità dei maiali - intelligenza ed emotività in primis -, ormai celate dalle etichette che abbiamo appiccicato addosso a questi animali, piegandoli al nostro volere e al nostro comodo e trasformandoli in semplici “prodotti” del mercato.
La famiglia Suidae, al di là di tutto, resta indubbiamente una delle più sorprendenti in assoluto nel panorama dei mammiferi.