29/11/2023
AMORE PER TORRE ANNUNZIATA...
prime note per un terzo nuovo libro, ma stavolta tutto per Torre Annunziata...se ce la fate, forse potrebbe piacervi...
Lento, passava il tempo, in quel pomeriggio bagnato di lacrime…la pioggia, aveva dato il suo segno alla terra e continuava imperterrita a far l’amore con essa. Le cose, le strade e quello splendido paesaggio, viste da una finestra dell’ospedale, sembravano ovattate, quasi come non esistessero, eppure quel panorama, andava vissuto, ma a volte per vivere occorre tanta forza. Lei, accartocciata sul suo dolore, poggiava la fronte sul vetro e quasi il respiro sembrava non voler uscire, così da appannare i vetri. I suoi ricordi, avanzavano e si coloravano di foschi colori, continuava a guardare nel vuoto, quasi a voler eliminare tutta la bellezza esterna, magari sostituendo i colori con il grigiore della malinconia ed il nero della tristezza. Il corridoio, nel frattempo andava riempiendosi di gente, ecco, adesso arrivava il fratello, che trafelato voleva saper notizie, e con lui l’altro fratello che ugualmente mitigava il suo sgomento, con la fame di voler sapere tutto. La Madonna di Lourdes, situata in una cappelletta vicino l’entrata, dava odori e colori al tutto, i fiori davanti alla sua immagine regalavano quel tocco di serenità, che in quel luogo a volte manca. E l’ascensore che portava i pazienti dall’utic al piano non voleva saperne di scendere… Anthon J. Cronin parlava dei sette colori dell’ansia, ma forse il conteggio era approssimato per difetto. Qui l’ansia, la si poteva tagliare come un formaggio, tanto era solidificata nell’animo dei presenti, ma ciò è ovvio e direi quasi naturale, in alcuni reparti di un ospedale che si rispetti. In questi luoghi, anche il personale che ivi lavora, sa di dover affrontare ogni giorno la morte, sa che non deve guardarla in faccia, ma solo rispettarla e far sì che tanta gente possa rinviare l’ineluttabile appuntamento. Ma chi sono, questi personaggi, e chi o cosa aspettano? Beh ogni giorno essi sono nuovi ma sempre uguali, senza distinzione di sesso, ricchezza o povertà…qui la grande democrazia della nera signora, funziona come in nessun’altra parte del mondo. Ed ora andiamo a vedere il diretto interessato, senza drammi o sceneggiate…sul letto, attorniato da personale altamente preparato e professionalmente all’avanguardia, sta contorcendosi dal dolore, lui… il nome? Non importa lo possiamo chiamare ernesto, come potremmo chiamarlo asdrubale o stanislao, tutti abbiamo lo stesso cammino da compiere. Si, l’ernesto ha avuto l’ennesimo infarto, solite cose, un po’ di pancetta, un po’ di trascuratezza e il patatrac è fatto ed ora sta cercando di resistere al suo destino che non sembra del tutto roseo. Uno dei medici, nota il calo pressorio dal monitor che cala sin quasi a scomparire, la lotta è finita ma lo stesso, freneticamente ma anche professionalmente, si appresta ad usare il defibrillatore, non vuole arrendersi, nonostante i dati che ha davanti agli occhi lo invitino alla resa totale, ma la testardaggine e il non voler perdere quell’uomo che ormai ha reclinato serenamente il capo dopo tanta sofferenza, lo aiutano a non demordere. E continua col defibrillatore, ma non contento passa al massaggio cardiaco, dando colpi quasi isocroni sul petto che ormai non risponde più. Ma lui…il neo quasi defunto, cosa sta pensando? E…sta pensando? Ma si, ernesto adesso si trova in un posto stranissimo, dove in compagnia di altre diciamo figure, sta apprestando ad entrare in un posto particolare…un tunnel dal quale fuoriesce una luce abbacinante ma che allo stesso tempo piacevole a guardarsi. Ha memoria di quel posto, ci è già stato e allora non lo fecero entrare, restituendolo di nuovo alla vita, si quella meravigliosa figura di San Pio, uscì dalla luce e lo mandò via. Strana la vita, figurarsi la morte…ed ora tutte quelle figure, sono anime che non anelano altro che immergersi in quella pace e lui con loro. Sta per entrare quand’ecco, dalla luce uscire di nuovo il suo amico, gli va vicino, gli prende la mano e “ vieni e non aver paura”. Dovrebbe non sentire, sensazioni, sa e vede di essere incorporeo eppure sente il calore della mano del Santo che gli dona la forza e gli cancella la paura. I passi in quell’ambiente sono quasi simili ad un volo, la terra, intesa come contatto del suolo, sembra lontana e l’uscita del tunnel si avvicina, mentre quella luce accarezza quasi la sua anima. Sente la serenità ma anche tanta inquietudine, ricorda il momento in cui ha lasciato il grembo materno, si certo era nato, ma aveva dovuto lasciare l’elemento primigenio, il ventre della madre e uscire fuori per respirare l’aria per la prima volta. E poi il pensiero vola oltre, ma nel frattempo, si esce dal tunnel e, meraviglia delle meraviglie, quasi non crede ai suoi occhi, una città, un mare, un cielo…ma come è possibile? Chiede al suo accompagnatore…ma dove siamo? Ti dissi che sopra ti amavano e non mentivo, siamo in paradiso, ma non è il paradiso che hai sempre immaginato….è il tuo paradiso, quello dei tuoi sogni, dei tuoi desideri…hai lottato tanto in vita ed ora ce l’hai…è la tua Torre Annunziata, ma non come l’hai lasciata poco fa, è la città che hai sempre sognato che fosse, ora ti lascio, avrai tanto da vedere e da fare, vai ernestì. E rimasto solo cerca di capire dove si trovi, ma cosa succede? Mi trovo in casa di nonna, si l’armadio che cigola, la cristalliera piena di ninnoli e cineserie varie, la radio Allocchio Bacchini, che mi piaceva tanto per i suoi mosaici fatti di pezzetti di vetro. E lo specchio grande…ma… quello sono io…e quanti anni ho, sono così piccolo… e poi… non vedo il ritratto del nonno ernesto con il cero acceso, allora il nonno sta qui? E qui salta la felicità, si apre la porta ed entrano in due, il nonno e la nonna, che come al solito stanno prendendo di mira la serenità, ovvero continuano anche qui a punzecchiarsi, dimenandosi tra le teorie sui massimi sistemi.
Ti avevo detto che le melenzane non sono queste che hai preso, non hai visto che queste sono piccole e chiatte, mentre quelle che servono per la parmigiana devono essere lunghe e di colore più scuro?
Ma, cara Francesca, risponde il nonno, ho pensato a te e ho preso quelle che più ti somigliavano, volevo farti un complimento.
MMM, è meglio che non ti risponda altrimenti da qui ce ne cacciano…ma… quello è ernestino,
e qui si trovano d’accordo entrambi,
vieni a nonno, il mio piccolo ometto, ti trovo bene, che piacere…ora sei qui, ma non raccontarci niente, ti aspettavamo già qualche anno fa ma poi qualcosa è successo, ma ora sei qui, sta sereno e goditi il Paradiso per l’eternità.
Vieni da nonna ernè, adesso ci prepariamo un ragù che devo far sentire l’odore a tutti gli angeli di qui…sai a volte vengono a trovarci e sapessi quante cose ci dicono. Poi dopo si mettono a suonare quelle loro musiche, io non le capisco ma mi piacciono, e poi sapessi quanta gente c’è qui sopra, ti ricordi di zia Pappina? Oggi viene qui a pranzo, ma non so se vengono altri, e poi ci sarà di sicuro qualche sorpresina per te, sapevamo del tuo arrivo e se da un lato c’è dispiaciuto per le tue sofferenze, dall’altro, egoisticamente ci ha fatto molto piacere. Poi voglio dirti che stanotte dormirai qui e quel brontolone di tuo nonno non sta nei panni…ti ha sempre voluto un bene dell’anima, ma lo sai com’è… parla, parla, parla, ma è così buono.
Si ma ora vogliamo prepararlo questo ragù? Forza qui non manca mai niente, allora diamoci da fare, perché la vera vita…forse è questa, prima del ritorno…
sentenziò il nonno. Ernesto forse preso dai tanti avvenimenti, o forse ricordando i morbidi materassi del lettone, si poggiò su essi e senza perdere tanto tempo, si addormentò, mentre la nonna gli toglieva lievemente le scarpe. Prese una coperta e lo coprì, gli mise il suo cuscino di piume vicino e poi si mise vicino al marito a contemplare in silenzio l’immagine di quel bambino che ricordava loro l’amore datogli a profusione.
E dormì, ma sognava? Si, anche i Paradiso si può sognare…
La luce della lampada posta sulla strada, filtrava tra le fessure delle ante di legno del balcone che dava sulla strada, come era sua abitudine Ernesto, pur crogiolandosi ancora sotto il tepore delle coperte, aveva aperto gli occhi. Erano le 4 del mattino e lui pur non essendo un lavoratore, causa i suoi 5 anni, combatteva il sonno pensando alle emozioni che di lì a poco avrebbe vissuto. Puntuale il nonno Ernesto, aveva già completato la sua vestizione e, dopo aver preparato un odoroso caffè, si apprestava a portarlo al suo nipotino ancora a letto.
Ernesto, forza che si fa tardi e stamattina abbiamo da fare...
l'invito venne raccolto subito ed il soldo di cacio, con tutta la calma possibile, si sedette in mezzo al letto e presa la tazzina di caffè dalle mani del nonno, cominciò a girare col cucchiaino.
Nipotino caro, gli fece il nonno, stamattina hai dimenticato due parole magiche, non pensi sia ora di dirle?
Avete ragione nonno, buongiorno e grazie per il caffè... a questo punto si svegliò anche la nonna Francesca, e non ancora mossasi dalla sua posizione intonò
" quando siete pronti me lo dite, così dormo anch'io, stanotte i reumatismi non mi hanno fatto chiudere occhio e pensavo di dormire un pò, ma qui mi sembra il bar del porto"
Non preoccuparti, rispose il nonno, ora Ernesto, si prepara e scendiamo e tu ti alzerai solo all'arrivo di Luigiella 'a capèra.
Vestirsi in fretta per il piccolo è ormai un'abitudine, ma ogni giorno si presenta come una sorpresa, quando si esce con il nonno Ernesto, la bellezza accompagna entrambi. Si scende e fuori è ancora tutto buio, alzare gli occhi al cielo è una magia, tutti quei puntini che brillano, chissà come sono, chissà cosa sono. E le domande vanno al nonno, che senza por tempo in mezzo gli spiega che quelle lucine in cielo vengono da un tempo passato e forse adesso non ci sono più ma non sappiamo se attorno ad esse ci sia altra vita, però una cosa è certa, questo cielo rappresenta la gloria di Dio.
Si, il Signore ha creato tutto ciò in 6 giorni ed in questo tempo ha donato all'uomo la gioia di poter guardare le stelle...
Non è facile capire il nonno, ma Ernesto sa che un giorno tutto gli sarà più chiaro...
le stelle che vengono dal passato?
e da dove vengono?
E ora perchè non ci sono più?
Cosa ci sarà adesso?
E le domande si susseguono, ma nel frattempo sono arrivati a via Caccia, dove zio Ciccio ed il cugino Ernesto stanno preparando il pane da infornare. Eravamo scesi anche per questo, dare una mano ad allascare il pane, ovvero dividere i due pezzi di pane nella metà cottura, girarli e dar modo di completare la stessa anche alla facciata che nella crescita si era quasi incarnata nell'altro pezzo. Ad Ernesto tutto questo sembrava una magia, e poi quell'odore di farina, e del pane che usciva dal forno, lo incantava e rimaneva affascinato a guardare, non arrivava nemmeno alle tavole dove veniva messo in ordine il pane appena sfornato, ma lui tranquillamente si metteva di fronte, alle due bocche di forno, ma un pò defilato, una volta era incappato nella traiettoria di una pala e il fatto non gli era per niente piaciuto, quindi ora la prudenza lo aiutava. Nel frattempo il nonno Ernesto, tra una sgridata al nipote ed una raccomandazione al figlio, faceva passare il tempo, dirigendo ciò che normalmente già si faceva… pensandoci bene sembrava colui che dettava il tempo… e ci riusciva perfettamente. Finita la parentesi lavorativa, il nonno, mi prendeva per mano e andavamo al porto… a guardare come il sole si alzava dalle montagne alla nostra sinistra… era bellissimo osservarlo. Seduti su un masso di pietra lavica che fungeva quasi da poltroncina, ci mettevamo lì ed aspettavamo ciò che da milioni di anni, si ripete, il sole che preceduto dalla sua scorta dei mille colori dell’aurora, tornava a squarciare le tenebre della notte. E nel frattempo, rientravano le barche dei pescatori, alcune con motori che davano la cadenza del moto, ed altri con le sole forze dei marinai, attaccati ai loro remi. Poesia era nell’aria, anche in quei gesti, amore viveva in quella cartolina della memoria che salva l’anima anche quando essa è preda della tristezza. I pescatori…altra razza di gente, anime vaganti alla ricerca del frutto del mare, ma ancora di più, ricercatori della propria libertà, si essi non amano aver altro padrone che non il mare, esso può darti poco o tanto, ma di certo non ti abbandonerà mai. Poco adusi a smancerie che tanto piacciono agli uomini di terra, essi, amano dire pane al pane e vino al vino, si non sono dissimili dagli altri viventi, solo molto fieri di ciò che amano fare, li definirei quasi i partigiani dell’anarchia, intesa come sofferenza per la sottomissione. Il saluto al nonno è ormai una bella usanza, in effetti essi lo considerano uno di loro e poi anche il piccolo Ernesto è quasi diventato la loro mascotte. Sebastiano, è l’ultimo ad entrare in porto, e tra gli sbuffi del motore della sua barca, attracca al molo, chiama il nonno e presa un pezzo di carta dalla cabina, ci mette dentro un bel pesce, poi lo consegna al nonno, con
“mangiatevelo con salute e buona giornata”.
Alla tua salute Sebastiano, e chi ringrazia esce fuori obbligo,
è la risposta di nonno Ernesto, poi mi da la mano e ricominciamo il cammino interrotto. Anche il sole sta proseguendo la sua marcia, e il giorno sta prendendo forma. Le cose, le case, le pietre di questa terra iniziano a colorarsi, tutto sta prendendo la propria forma e aspetto, il vecchio ed il bambino, avanzano serenamente tra la storia di questo nuovo giorno ancora non nato, ma già così vivo… A questo punto entrano sul palcoscenico di questa terra…i mille e mille attori che, con le loro grida, i loro canti, i loro suoni, la dipingono, con tutta la forza di cui essi dispongono. L’amore per una città è insito nelle anime dei suoi abitanti ed è dato dalla sostanza della terra e dalla sua bellezza, sia essa intima che pubblica … una pietra, ad esempio, può significare tanto per qualcuno e niente per altri, ma essa è comune ad entrambi, è una pietra di questa città. E così si dipanano i personaggi per le strade, quasi fossero fili di una matassa troppo ingarbugliata, ma ancora di più eterogenea, un misto tra mille colori, sapori, canti che si spargono attraverso piazze e vie, portando ovunque il nuovo sapore di questo ancora nuovo giorno. Tobia il giornalaio che grida a tutti l’uscita del Corriere dei piccoli, con le sue storie, le avventure del Signor Bonaventura, e tanti altri personaggi che non aspettano altro che uscire da quell’impasto cartaceo e finire, le loro istorie, cominciando a vivere nella fantasia dei loro giovani lettori. E l’acquafrescaio con il suo carretto, trainato da quel cavallo bianco che ben altro principe aveva portato in groppa ai tempi passati, ed ora portava Catello a le sue damigiane ricche d’acqua di Castellammare di Stabia e magari se rallentava un po’ per prendere fiato, lesto era il padrone a fargli assaggiare qualche colpo di frusta, l’uomo, ultimo fra gli animali del creato, spesso sa far piangere anche chi piangere non sa.